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Perdersi non è un po’ ritrovarsi. Potrebbe essere riconquistarsi. Abbiamo bisogno costantemente di ritrovarci. Capisco che le identità crollano. Ma io nella mia consolazione viaggio tra i miei incidenti. Perdiamo la nostra identità nel momento in cui non si hanno più il padre e la madre. Metafora che si trasformano e tutto il resto è diavoleria.

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Nel momento in cui si resta soli le parole di consolazione sono perdizione. Troppo tardi ho capito ciò. Il mio vissuto è diviso tra tante strade. Ma non si badi a ciò che voglio costruire nella tradizione ma a ciò che vivo nelle notti ovidiane che mi danno la luce e la grazia. Si resta soli nel momento in cui il padre e la madre si sono messi in viaggio e non ci sono più accanto. Restano dentro.
Proprio quando restano dentro la vita cambia e le civiltà del cuore diventano altro. Nel crollo delle identità la mancanza di identità crea uno scivolamento di appartenenze. Le identità. I simboli. Le religioni sono distanti mentre il mito cammina tra Itaca e Troia.

La Grecia e la Turchia. Oltre la Mesopotamia. Civiltà distrutte… : L’occidente greco e ortodosso. L’Oriente ottomano musulmano. Chi siamo stati? O chi siamo o cosa cerchiamo? Siamo figli o eredi di Ulisse o di Enea? Ma Enea non ha radici latine. Troia è turca. I troiani vengono dalla Turchia. Un mondo Ottomano che si è intrecciato in un Mediterraneo che più volte ho definito inclusivo.
Ma inclusivo di cosa? L’ulissismo che è in noi è la lezione della teatralità e quindi della recita e quindi della finzione.
Perché non smettiamo mai di considerarci eredi di Ulisse quando invece a renderci latini, e perciò romani, è stato un erede di una città turca?
Dunque. Di chi siamo eredi? Il problema è tutto qui. Se siamo eredi dell’isolano siamo portatori di inganno. Il Cavallo di Ulisse è frutto di una intelligenza che partorisce inganni. Inganno il suo studiare come non andare in guerra fingendosi folle. Siamo folli? No. Siamo veri!
La follia degli astuti è diventata con Ulisse la bugia degli stupidi. Se ci identifichiamo nella terra di Roma siamo un popolo partorito da Enea che proveniva però dalle fiamme di Troia. La nostra identità, se tale vogliamo chiamarla, è nella Tradizione. Ovvero è nella Immagine di Enea che si porta la memoria sulle spalle e il futuro accanto tenendolo per mano. Una straordinaria metafora. Ma insisto sul fatto che Enea non è romano ma Troiano: un dato di grande importanza.
Troia è città grandiosa nel mondo non arabo ma turco. Perché Ulisse, oltre la mitologia, non resta con Calipso? Perché, come inventeranno molto dopo, i precursori di Cristo e Paolo, (Pietro no, era troppo impegnato a rinnegare persino se stesso), ha bisogno che le scritture vengano compiute.

Possono compiersi soltanto se ritornerà alle radici? Ma Itaca è veramente una radice? Penso di sì! Ulisse lascia nella disperazione prima Circe poi la grandiosa Calipso… Leggiamo questo viaggio con la saggezza oltre la mitologia.
Enea fa di peggio. Didone è la tragedia che diventa suicidio e Cartagine, resta città mediterranea tunisina, distrutta da crolli e fuoco.
Enea attraversa il Mediterraneo, vive le stagioni degli amplessi con Didone e in nome sella profezia va verso una città che si chiamerà Roma.
Allora. Per capirci un po’ bisogna azzerare tutto. Dante porta Ulisse oltre le Colonne. Ma lo fa per anticonformismo. Dante è in grande fingitore. Pascoli gli offre la possibilità di amare Calipso e di viversi immortale. Rifiuta ma torna morto tra le braccia della sciamana.
Che destino… Ovvero che stregoneria, a volte chiamiamo ciò destino…
Noi siamo eredi dell’inganno e figli dell’imbroglio. Enea imbroglia le civiltà. Porta Troia in Occidente. Ulisse ama ritornare perché crede nella vendetta.
Al di là della leggenda o favola di Elena in una guerra tra Grecia e Troia noi con chi avremmo combattuto?
Elena era greca ma la ricordiamo come Elena di Troia… Poi il mondo giudaico cristiano ha fatto il resto…

Il discorso resta aperto… L’identità nasce dentro questi intrecci perché fino a quando non riusciremo ad afferrare questi aspetti di una storia non scritta non saremo in grado di far prevalere il diritto ad una appartenenza. Non esistono le storie condivise e neppure la stupidaggini di chi afferma che la storia siamo noi.
Ulisse non sta al gioco della storia siamo noi. Altrimenti saremmo tutti ingannatori, bugiardi, infigitori. Ulisse aveva come riferimento Itaca e Penelope, ma ha amato di un amore immortale, l’amore immortale che diventa amore infinito e indefinibile, la maga Circe e la romantica Calipso. Omero resta la tradizione. Dante l’esilio e il fuggitore. Pascoli l’esasperato amante e Pavese l’incerto diamante tra l’immortalità come amore e l’amore come fine con Penelope.
Quale scelta avrei potuto fare io? La mia scelta è chiara. Sarei rimasto con Calispo. Non per l’immortalità che mi avrebbe offerto, ma per la sensualità, la passione, l’eros. La vita è costantemente eros e se non è tale è attraversata dal dubbio e dalla morte. Io non raccolgo il dubbio e tanto meno la fedeltà. La fedeltà a cosa? Al non vivere come uomo mortale dovrebbe vivere davanti alla immortalità? Ebbene sì, mi sarei lasciato dondolare dai riccioli di Calipso sino a nuovi mari. Ma la tradizione omerica porta Ulisse a Itaca. La tradizione di Dante lo conduce oltre.
Io Ulisse, nella mia contemporaneità, avrei accettato lo sguardo di Calipso perché Calipso è il tutto oltre la storia. Ed io non ho bisogno di storia. M,a di avventura nelle dune delle onde e nelle notti delle passioni. Ulisse nostro contemporaneo? Certo. Il dubbio di Pavese si consuma nell’ars amatoria di Ovidio.

Cerchiamo, in questo nostro tempo, di essere meno parossistici e più autentico con noi stessi. Io avrei coltivato mari e prati per Calipso e la sua bellezza sarebbe rimasta dentro la mia giovinezza. Un mito? Ma con la distruzione del mito la realtà diventa una malattia. Nostro contemporaneo, Ulisse? Non credo. Ma dentro resta non l’omerico ritorno ma il viaggiatore viaggiante.

E Penelope? E Itaca? Sono soltanto una disperazione che rende disperati. Calipso è sensualità oltre la noia. Io resto un contemporaneo di Ulisse? Probabile. Ma Itaca è distante e lacerante e Penelope è invecchiata con la perenne giovinezza di Calipso. Io continuo a vivere Calipso!

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