Taranto-monumento-marinai
Pubblicità in concessione a Google

Quanto contano dieci anni nella vita di una opera letteraria? Niente, forse, se consideriamo testi immortali come quelli Omerici o romanzi con il “Don Chisciotte” o “Moby Dick” che – aldilà del tempo e del luogo in cui si svolge la narrazione – riprendono temi che sono da sempre parte dell’animo umano.

Pubblicità in concessione a Google

Molto, invece, nel caso di racconti che fotografano una situazione, un periodo, uno spazio. E’ il caso di “Adesso tienimi” (Fazi Editore), che dieci anni fa segnò il folgorante esordio letterario di Flavia Piccinni. Un romanzo crudo e tagliente come la lametta della protagonista, che – incapace di separare il Bene dal Male (e, forse, ancora prima di distinguerli) – decide di usarla per decidere della vita e della morte.
Una sorta di “Tre metri sopra il cielo” ambientato in riva allo Ionio, dove il rosso di sera non porta l’annuncio di una speranza ma la minaccia dell’inquinamento che si pasce della infame dicotomia tra salute e lavoro. Protagonista, più che comprimaria, una Taranto violenta e violentata, raccontata senza artifici letterari e buonismi ipocriti, dove anche i negozi, le pizzerie, le chiese hanno nel romanzo i nomi che hanno nella realtà. Una Taranto che è peculiare e universale, con le sue faide familiari che esistono ad ogni latitudine e con i riti della Settimana Santa folli e incomprensibili per chi non è nato sulle rive dei Due Mari, con il suo Lungomare e la sua Concattedrale, che dovevano essere orgogliosi monumenti di lungimiranza architettonica ed erano (e sono) un triste e squallido ricettacolo di rifiuti, promesse e ruggine morale e materiale.

Flavia Piccinni fotografa una Lolita all’incontrario, violentemente sedotta e tragicamente abbandonata dal suo professore, una adolescente dalla vita a brandelli che divide con i suoi amici birre e sigarette, rabbia disperata e altrettanto disperata rassegnazione, circondata da adulti incapaci di comunicare, chiusi nei loro riti borghesi fatti di pettegolezzi amari, ipocrite cene familiari e giudizi tranchant in cui ha un peso determinante il lato della strada su cui si trova la casa dove abiti.
Più e meglio di tante analisi sociologiche e inchieste giornalistiche, in “Adesso tienimi” Flavia Piccinni racconta Taranto e i tarantini, li mette di fronte alle loro colpe ed alle loro condanne, alla loro ignavia indolente ed al loro cemenefuttismo imperante; la scrittrice non fa sconti a nessuno, così come Martina, la protagonista, non ne fa a se stessa. In un gioco di rimandi freudiani da rivista da ombrellone si potrebbe leggere in quel nome il richiamo alla “capitale della Valle d’Itria” che da sempre i tarantini hanno visto con invidia e sarcasmo, l’ennesimo “vorrei ma non posso” che in riva allo Ionio diventa “potrei ma non voglio”, la città che celebra nel Festival assurto a fama mondiale compositori come Paisiello a Taranto colpiti da una vera e propria “damnatio memoriae” frutto più di stupidità pigra che di calcolo ragionato.

[amazon_link asins=’8881128489′ align=”left” template=’ProductCarousel’ store=’gg05c-21′ marketplace=’IT’ link_id=’f628da70-9e0f-11e7-9429-0971ad1bccf7′]

Allora come oggi, all’adolescente che si affaccia al futuro si presenta l’alternativa tra partire e restare, tra farsi stritolare da una città matrigna che soffoca chiunque tenti di opporsi alla sua ignavia millenaria oppure andare via, per moto proprio o seguendo il destino della propria famiglia alla ricerca di un futuro migliore, come capita a Giulia, anche se il prezzo è strappare – forse per sempre – i legami di amore e di amicizia.

Rileggere oggi “Adesso tienimi” ci fa entrare in una sorta di macchina del tempo, ci fa riflettere su cosa Taranto era, cose è e cosa potrebbe essere, ma non solo: rileggere oggi “Adesso tienimi” ci fa riflettere su chi eravamo, chi siamo e chi vorremmo essere, domande che solo pochi scrittori sanno far sorgere nei loro lettori.

«Sono nata a Taranto. 500 milioni di debiti e 90,3% della diossina che uccide l’Italia. Vivo in via Cagliari 32/A, in una villetta bianca con il cancello in ferro battuto arrugginito. Fumo due pacchetti di Chesterfield blu al giorno, mangio solo caramelle gommose senza zucchero e popcorn al formaggio. Nel tempo libero guardo la televisione o piango. Ho due amiche, Iolanda e Giulia. Avevo un fidanzato, prima che si ammazzasse».

Pubblicità in concessione a Google