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Una notizia che non è passata per i grandi media nazionali, ma che ha fatto comunque parecchio discutere in queste ore è la scelta di Blu, street artist italiano, che ha cancellato nei giorni scorsoi le opere da lui realizzate a Bologna negli ultimi venti anni.

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Il gesto estremo è una forma di protesta verso gli organizzatori di una mostra che si inaugurerà prossimamente nella città felsinea, intitolata “Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano” e dedicata appunto al fenomeno degli street artist. La notizia della cancellazione delle opere di Blu è stata data sul blog del collettivo Wu Ming, dato che l’artista non rilascia interviste pubbliche, illustrando le motivazioni di un gesto che appare per certi versi estremo, anche se – per la natura dei materiali usati e la tipologie di superfici utilizzate per la loro realizzazione – ben poche di queste opere sono comunque destinate ad avere lunga vita.

Quella che nasce come arte popolare, di strada (di cui anche a Grottaglie abbiamo diversi esempi) spesso contestata e repressa dalle istituzioni e dalla “intellighenzia” borghese viene rivalutata (in senso culturale ed economico) ed entra nelle mire di avidi speculatori? Una spiegazione fin troppo semplicistica, che non renderebbe onore e merito a nessuna delle parti coinvolte ma che pure contiene una parte di verità. Di certo il fenomeno non è nuovo, e basterebbe pensare alla storia di Jean-Michel Basquiat o di Keit Haring, le cui opere sono partite dai sobborghi americani per finire nelle più quotate gallerie d’arte mondiali, ma in questo caso gli artisti erano consenzienti ed hanno fatto una scelta libera e consapevole. Diverso il caso in cui un’opera venga tolto dal suo luogo di realizzazione senza il consenso dell’autore e venga poi esposta altrove o addirittura venduta, come accaduto ad esempio per lo “Slave Labour” di Banksy, rimosso dalla sua originaria collocazione e venduto all’asta per 750.000 sterline.

Gli episodi riportano alla memoria anche eventi accaduti a Grottaglie, dove grazie al “FAME Festival” per anni si sono cimentati numerosi artisti di fama internazionale, tra cui lo stesso Blu. Anche nella città delle ceramiche ci sono stati episodi curiosi, dallo scandalo sollevato dalla realizzazione del Gallo di Ericailcane che si affacciava sul quartiere delle ceramiche, alle proteste seguite alla cancellazione dell’opera, passando per la polemica sulla opportunità di rimuovere un portone metallico su cui era stata dipinta un’altra opera per utilizzarlo – pare – come complemento di arredo all’interno di un ambiente privato. Certamente molte opere di street art nascono come provocazione e contestazione dello “status quo” e non abbiamo dubbi a credere che la maggior parte dei loro autori abbiano ben poco piacere ad essere “fagocitati” in Enti ed Istituzioni, se non in mentalità sociali, che loro esplicitamente contrastano e da cui – è opportuno ricordarlo – sono quasi sempre ricambiati con altrettanta scarsa considerazione.

Vero è che la maggior parte delle opere presenti nei più famosi musei mondiali sono state spesso ottenute con metodi non sempre esemplari dal punto di vista etico, dal bottino di guerra al furto con destrezza, passando per scavi clandestini o furti con destrezza. Ancora, si potrebbe opinare sulla liceità della presenza in Europa di musei con reperti provenienti dall’Africa, dall’Asia o dal Medio ed Estremo Oriente, ma il rischio è quello di infilarsi in un “cul de sac” dove il meglio in teoria cancellerebbe il buono realizzato in pratica. Che l’istituzione museale del presente – ed ancor più del futuro – non possa più limitarsi ad essere solo un mero contenitore per la conservazione passiva e “muta” delle opere ospitate è fuori di dubbio; è in atto una vera e propria rivoluzione che vede alcune opere d’arte assurgere a vero e proprio fenomeno “social” a cui dedicare gadget, film e merchandising all’interno di esposizioni museali che sono veri e propri contenitori sociali prima ancora che culturali, utilizzando anche le possibilità offerte dai nuovi media di comunicazione. Così oggi è possibile assistere al cinema ad un concerto rock o ad una opera lirica eseguiti dall’altra parte del mondo, si può partecipare ad una “Notte della Taranta” sempre più aperta a contaminazioni sonore provenienti da tutto il mondo, si può visitare un sito archeologico con una ricostruzione virtuale in 3D “più vera del vero”, si possono ammirare in DVD collezioni esposte in musei dall’altra parte del mondo (la qual cosa forse eviterà in futuro scelte opinabili come le esposizioni nel Castello episcopio delle copie dei quadri di Dalì ).

Di certo non esiste oggi – se mai è esistita ieri – una risposta unica e generale, altrettanto certo è che però è bene che una discussione ed un confronto su questi temi ci sia anche a Grottaglie, che si vanta di essere una “città d’arte” e che riteniamo abbia urgente bisogno di progettare alla luce delle nuove tendenze i suoi due più importanti appuntamenti, ovvero la Mostra del Presepe e – soprattutto – la Mostra della Ceramica.

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