Pubblicità in concessione a Google

Per l’ennesima volta i social network di GIR hanno ospitato una discussione a più voci – alcune, per la verità, anche abbastanza accese – che aveva tra gli altri argomenti il prezzo più o meno elevato degli oggetti in ceramica prodotti nelle botteghe locali.

Pubblicità in concessione a Google

C’era chi sosteneva che i prezzi chiesti dai ceramisti grottagliesi per i loro manufatti siano molto, troppo alti e tali da spaventare la maggior parte degli acquirenti; dall’altra parte c’era invece chi sosteneva che il prezzo richiesto è la giusta remunerazione per un prodotto artigianale unico ed irripetibile, frutto originale di maestria individuale, sapienza tradizionale e cura certosina della realizzazione.

Per quanto possa sembrare strano, a parere di chi scrive ognuna delle due fazioni aveva ed ha, a suo modo, ragione. Questo perché mentre la prima discute sul “prezzo” la seconda considera il “valore” del prodotto, e non sempre le due cose coincidono.

Il problema della ceramica tradizionale grottagliese, acuitosi notevolmente negli ultimi anni, è proprio in questa differente percezione, peraltro favorita dall’arrivo sul mercato (anche locale, occorre dirlo) di prodotti tutt’altro che artigianali, che di grottagliese hanno poco o nulla se non l’aspetto e che vengono proposti a prezzi sensibilmente più bassi di quelli interamente realizzati a mano.

Come in ogni prodotto realizzato dall’uomo, vi sono dei tempi e dei costi che sono fissi o comunque non riducibili, altri che possono essere abbassati ma a scapito della qualità del prodotto finale (si pensi, ad esempio, all’impiego di smalti potenzialmente dannosi per la salute) o impiegando metodi che snaturano l’artigianalità del manufatto, rendendolo nient’altro che un prodotto “fatto in serie”, uguale a mille altri.

A questo punto i ceramisti grottagliesi dovrebbero scegliere che strada prendere: produrre oggetti a basso costo da vendere a turisti sempre meno disposti a spendere per un “souvenir d’Italie” oppure puntare a valorizzare il patrimonio unico di tradizione che ancora pulsa e vive nel quartiere delle Ceramiche? Non esiste, ovviamente, una risposta “giusta” ed una “sbagliata”, nel mercato delle automobili – ad esempio – trovano spazio sia marche che producono e vendono milioni di modelli popolari che altre che si dedicano invece a mettere sul mercato fuoriserie da centinaia di migliaia di euro destinate a pochi eletti, e non fa scandalo che una Ferrari si venda a cifre dieci volte maggiori di una FIAT, pur essendo entrambe automobili con quattro ruote, un motore ed un volante. Ecco perché, decenni fa, la Swatch vendeva orologi di plastica “da collezione” a cifre da capogiro, a volte superiori a quelle dei modelli di lusso di marche più blasonate.

Ciascuno deve allora scegliere a quale “mercato” puntare ed attrezzarsi adeguatamente per far comprendere al potenziale acquirente che il prezzo che gli viene chiesto corrisponde al valore di ciò che gli viene proposto. Non si tratta solamente di sviluppare una convincente parlantina di imbonitore da fiera, bisogna soprattutto recuperare un legittimo ed obbiettivo orgoglio di ciò che è stata ed è la tradizione figulina grottagliese, ed essere poi disposti a spiegarla, mostrarla, esporla a chi ne voglia, giustamente, sapere di più.

Bisogna “comunicare”, nel senso più ampio possibile, utilizzando strumenti adeguati e facendosi affiancare da esperti nel settore. Non basta più aspettare il turista seduti fuori delle botteghe ma bisogna “andare a prenderlo” lì dove si trova; non è più accettabile rifiutare pagamenti con carte di credito o bancomat, perché è la “valuta” preferita dai viaggiatori ed è – peraltro – quella più sicura per il venditore. Non si possono più accogliere i turisti senza spiccicare neppure un “hallo!” in inglese; è anacronistico e ridicolo – diciamola tutta – in tempi di social network, selfie e smartphone vietare di fotografare i pezzi esposti, perché così facendo impediamo di farci fare pubblicità gratis nell’assurdo timore che qualcuno possa “copiare”cò che vede.

In una intervista realizzata qualche anno fa, il figlio di un noto ceramista grottagliese affermava che i ceramisti della sua generazione erano anacronisticamente più arretrati di quelli della generazione del padre; tanto i genitori son stati capaci di elaborare nuove forme, cercare nuovi mercati, tracciare nuove strade riempiendo di gente il quartiere delle ceramiche ogni sera d’estate tanto oggi i figli sembrano involuti su sé stessi, aggrappati ad un passato che rischia di rimanere un guscio sempre più vuoto, incapaci di inventare, innovare, rischiare.

Ciascuno, ripetiamolo, deve fare il suo lavoro e giocare nel suo ruolo, ma bisogna necessariamente partire da una onesta presa d’atto del presente e decidere cosa si vuole fare “da grandi”, mettersi intorno ad un tavolo insieme ad Enti ed Istituzioni, chiedere (se non pretendere) i giusti e necessari strumenti di promozione ed assistenza. Se e quando si riuscirà in questo intento, si dovrà essere capaci di far tornare turisti e visitatori nel quartiere delle Ceramiche, essere in grado di spiegare e mostrare quanto tempo, lavoro e maestria ci vogliono anche solo per modellare al tornio una semplice ciotola o realizzare un decoro “a rigo e stella”; allora – e forse solo allora – il prezzo richiesto ed il valore percepito della ceramica grottagliese saranno adeguati tra loro.

Pubblicità in concessione a Google