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Tutti i lettori sapranno che Grottaglie è la città delle ceramiche e delle uve ma quanti hanno indagato almeno una volta intorno alla ragione, all’artefice di queste due grandi ricchezze economiche e culturali?

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Il segreto è … nel calcare. Il nostro paese si estende lungo le Murge, quell’altopiano collinare che parte da Bari e arriva fino al Salento e presenta delle formazioni calcaree simili a dei canyon. Si chiamano gravine e le conosciamo per le gite di domenica pomeriggio, per i temi sempre uguali fatti in classe sulle grotte delle antiche civiltà rupestri, perché nascondigli ambiti quando si saltava la scuola o quando si voleva dare qualche bacio in più. Oltre che per questi più che nobili motivi, le gravine sono utili per un’altra ragione: la calcarenite, un materiale edilizio a km 0. Il territorio tarantino è disseminato di cave per estrarre i blocchi calcarei destinati alla costruzione di case, botteghe e forni: da questi si prende anche l’argilla il primo ingrediente della ceramica che ci rende famosi.

Quel calcare su cui poggia il terreno un po’ argilloso e un po’ sabbioso è il responsabile anche di un’altra eccellenza grottagliese: l’uva da tavola. La vite è una pianta che ha bisogno di terreni tufacei e calcarei e il suolo grottagliese ha due straordinarie fonti di calcio che sono la calcarenite di Gravina e il calcare di Altamura. Per crescere sani però i grappoli grottagliesi necessitano di potassio ed elio: subito trovati nell’esposizione al sole e nei suoli con buone dotazioni di carbonati di calcio. Vi chiederete a cosa serve questa lunga premessa sul terroir (il mix magico di clima, geomorfologia, disposizione) di Grottaglie: il calcio presente nel terreno rende croccanti i chicchi che addentiamo sulla spiaggia o dopo un pranzo interminabile in campagna, il potassio e il magnesio li rendono dolci e degradano l’acidità. Il colore così brillante della nostra uva è dovuta ai cristalli di silicio. Tutti questi preziosi minerali oltre che croccantezza e giusto equilibrio tra dolce ed amaro permettono all’uva di maturare precocemente, quindi posizionarsi sul mercato in anticipo.

Ma non è forse un po’ riduttivo parlare di generica “uva”? Questa splendida signora ha dei nomi propri che hanno fatto la loro comparsa a Grottaglie in anni diversi e, udite udite: tutte abbastanza recentemente. Negli anni’50 da alcuni viticoltori baresi arriva l’uva Regina e i vitigni grottagliesi di cultivar Primitivo vengono convertiti a uve da tavola. Qualche decennio dopo fa la comparsa l’Uva Italia, preferita dai mercati esteri e più resistente ai trasporti. Infine, agli sgoccioli degli anni ’80 sulle note di musiche dell’est Europa fa la sua comparsa l’Uva vittoria con acini croccanti, verdi e dolcissimi. Grottaglie è leader nazionale per la coltivazione di questa uva Vittoria, anche se ora le nuove generazioni reclamano le uve senza semi (apirene), le seedless, come la Grimson a bacca rossa o la Sugraone a bacca bianca che arriva dalla California.

Ora, per dire arrivederci a questo autunno che se ne va … non resta che andare al mercato, comprare l’ultimo grappolo stagionale dell’uva preferita e godersi la croccantezza, la perfezione del tacito patto tra dolcezza e acidità di ogni acino. Questa volta però lo faremo con la consapevolezza che il trucco del piacere è nel calcare, nella terra.

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