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Si sente spesso affermare che per comprendere quanto accade nel presente è opportuno, quando non indispensabile, guardare al passato per cogliere quantomeno cause e motivi degli effetti attuali.

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Questo è vero anche – se non soprattutto – per la politica, e da questo punto di vista il libro di Francesco Piccolo, “Il desiderio di essere come tutti”, è utile tanto a cinquantenni più o meno nostalgici quanto a lettori più giovani che vogliano avere un bandolo della matassa politica di questi ultimi anni.

A metà tra cronaca sociale ed autobiografia, il libro dichiara subito “l’oggetto del contendere” nel sommario, che mostra solo due parti; la prima è “la vita pura: io e Berlinguer”, la seconda è “la vita impura: io e Berlusconi”. Sarebbe facile a questo punto immaginare che si tratti dell’ennesimo pamphlet un po’ polveroso, che elogia “il bel tempo che fu” e condanna gli ultimi vent’anni di politica italiana; niente di tutto questo anzi, per certi aspetti il libro ospita una neppure troppo velata condanna di questi scritti che piuttosto che “distruggere” un “nemico politico” hanno contribuito – se non a “santificarlo” – quanto meno a farlo passare per martire.

Piccolo non ci va giù leggero, occorre dirlo, ed a chi ha vissuto più o meno attivamente certe stagioni politiche la lettura del libro potrà riaprire vecchie ferite mai del tutto sanate ma se c’è una cosa di cui l’Italia ha bisogno oggi, è proprio quella di superare certi anacronistici schieramenti che, lungi dall’essere una razionale scelta di campo, si rivelano piuttosto una sorta di Forte Bastiani in cui arroccarsi in attesa di un “nemico” che – semmai davvero ancora esiste – ha già preso altre strade.

Scritto da un autore “troppo borghese per essere comunista e troppo comunista per essere borghese”, il libro racconta una certa storia d’Italia attraverso gli occhi di un ragazzo che – come suggerisce il titolo – non riesce ad essere come avrebbe voluto essere e che diventa comunista non sulla spinta di elevati ideali o per reazione ad una grande ingiustizia ma per effetto di una partita di calcio del Mondiale del ‘74, in cui la rete segnata da un attaccante della Germania Est alla “sorella” dell’Ovest appare – di fatto – la concretizzazione della biblica vittoria del piccolo Davide contro l’imponente Golia.

Personale e pubblico si intrecciano e si influenzano, come quando un lassativo cancella la paura per il colera o quando il terremoto che sconvolse l’Irpinia fa superare all’Autore il dolore di un amore non corrisposto o come quando la battuta di spirito che Berlusconi rivolge in occasione del G8 agli altri capi di stato presenti nella Reggia di Caserta sembra violare un luogo (non solo fisico) sentito quasi come proprio e intimo.

Difficile per un ragazzo essere sempre logico e razionale, e forse era ancora più difficile esserlo negli anni ’80, in cui Piccolo vive la contraddizione – più o meno apparente, di essere comunista e gaudente, una condizione che suscita infine grandi domande che invano cercano risposte certe nella filosofia e nel cinema: E’ lecito essere felici se questo genera infelicità negli altri? Esiste un compromesso accettabile tra il coinvolgimento totale e l’estraneità aventiniana?

Il libro ripercorre con una analisi lucida e spietata, come solo l’amore e la passione permettono, alcuni degli eventi più significativi degli ultimi decenni: il tentativo di “Compromesso Storico” tra la DC ed il PCI, la morte di Berlinguer e la sua forse poco obiettiva “santificazione” postuma, il rapimento e l’omicidio di Moro e l’uso non sempre opportuno delle sue lettere dal carcere, l’ascesa di Craxi prima e di Berlusconi poi, la miope e – per certi aspetti – ipocrita risposta di una certa “intellighenzia” di sinistra che non ha saputo (o voluto…) affrontare in maniera sincera questi “avversari”, la crisi del governo Prodi causata da Bertinotti e Rifondazione Comunista e la domanda su quale fosse allora (e sarebbe oggi…) l’eredità politica di Berlinguer.

Piccolo – come detto – non si nasconde dietro analisi auto assolutorie, e riserva ad una certa sinistra parole dure e senza appello, arrivando ad affermare che “alla sinistra italiana non piacciono gli italiani che non fanno parte della sinistra italiana”, che la sinistra italiana non ama questi altri italiani e si sente di “essere un’oasi abitata dai migliori, nel mezzo di un Paese estraneo”.
Altrettanto netto è il giudizio sulle elezioni primarie, che per Piccolo “non hanno nessuna logica in una democrazia parlamentare, ma entusiasmano perché sono le elezioni perfette per la sinistra: eliminano tutti gli altri dai seggi”.

Non manca uno sguardo lucido e disincantato ad un ritorno della “purezza” con una energia inarrestabile, una purezza che sembra essere illuminata dalla luce di almeno cinque stelle e che Piccolo – citando Kundera – definisce “judo morale”, ovvero una tecnica verbale impiegata per mettere l’avversario in una situazione di inferiorità morale, rifiutando ogni trattativa segreta e mettendosi – a torto o a ragione – “in una posizione di maggior coraggio, maggiore onestà, maggiore disponibilità al sacrificio”.

Interessante , nella lettura del libro, è anche cogliere tre filoni narrativi ben presenti, che arricchiscono e corroborano l’analisi di Francesco Piccolo: uno è il suo rapporto con la sua terra, la sua città e – soprattutto con la Reggia di Caserta, che possiamo vedere come simbolo e rappresentante dei tanti beni storici, artistici e monumentali che l’Italia lascia colpevolmente abbandonati a sé stessi invece di valorizzarli; l’altro è il confronto con i genitori, e con il padre in particolare, che nelle reciproche differenze e negli affetti nascosti diventano indispensabili punti di paragone delle idee e delle azioni di Piccolo; l’altro ancora è il suo rapporto con la donna che sarà sua moglie, da lui mai indicata con il nome di battesimo ma solo con un soprannome – “Chesaramai” – originato da un modo di dire, una donna che – per certi aspetti – rappresenta tutti gli italiani, un po’ fatalisti ed un po’ rassegnati, che non si abbattono troppo e che nulla sembra poi scuotere fino in fondo per troppo tempo.

Terminata la lettura di questo libro, messa da parte la nostalgia per gli anni della giovinezza, il panorama politico attuale risulta illuminato da una luce diversa e più sfaccettata, ed è anche grazie a questa luce che sarebbe possibile leggere con più attenzione – se non diversamente – anche gli eventi che hanno segnato questi ultimi anni della vita politica italiana, quantomeno per evitare di compiere ancore gli stessi errori di valutazione.

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