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La storia delle lingue è dentro l’identità degli idiomi che caratterizzano un territorio sia dal punto di vista storico – geografico che linguistico vero e proprio.

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Credo che sia necessario ripensare alla cultura dei dialetti non solo attraverso una chiave di lettura antropologica ma anche grazie ad un percorso giuridico, che ponga le basi per una vera e propria legge di tutela sui dialetti, che non sia la stessa che tuteli le cosiddette lingue minoritarie.
L’Italia è una Nazione, che si caratterizza culturalmente proprio per la varietà delle forme dialettali da non confondersi con “altre lingue”. Il dialetto è parte integrante del costume e della tradizione di una Regione ma anche di territori all’interno di una stessa Regione.
Ci sono varianti nei dialetti della lingua italiana, che mostrano la vera storia di una comunità ben definita all’interno della comune identità ed eredità nazionale. Ecco perché occorre puntare ai dialetti come patrimonio culturale, partendo da un presupposto preciso che è quello che devono restare, i dialetti stessi, dei modelli in una visione tra recupero delle tradizioni e letture antropologiche.

Conoscere i dialetti non è la stessa cosa di tutelare etnie o lingue minoritarie. I dialetti sono, comunque, appartenenza della cultura italiana. Questo deve essere chiaro, soprattutto, alla luce di una nuova dialettica sulle lingue minoritarie e sulle particolarità etniche. Il dialetto nasce nel contesto del tessuto culturale nazionale e quindi tutelarlo significa anche rafforzare la stessa lingua italiana, la quale nasce, appunto, da modulazioni dialettali. Ogni Regione presenta le sue caratteristiche e, dal punto di vista linguistico, si pone con delle precise koinè espressive.
C’è da dire che il dialetto, tra lingua – storia, va tutelato come patrimonio della identità di un territorio all’interno di una politica di difesa delle tradizioni, dei costumi e delle geografie di un Mediterraneo ormai diffuso che è sempre più articolato anche dal punto di vista delle lingue e delle eredità

Il dialetto è altro rispetto ai processi linguistici ed etnici delle presenze minoritarie anche perché ad essere interessato è tutto il tessuto nazionale. D’altronde c’è una straordinaria letteratura dialettale che si mostra con una sua freschezza e interessa il Nord come il Sud dell’Italia con degli incisivi aspetti per i dialetti “isolani”. Si riapre un capitolo anche sulla questione del sardo.

Il sardo è una lingua o un dialetto? Il Friulano pone la stessa questione. Perché non dovrebbero porlo il siciliano e il napoletano? Quindi scientificamente sgombriamo il campo da equivoci. C’è una legge di tutela sulle lingue minoritarie, che va necessariamente riconsiderata e rivista in molti aspetti e ci sono dei dialetti da considerare come veri manifesti del mosaico linguistico della Nazione, che vanno salvaguardati per la loro importanza storica, per il loro contributo letterario, per il loro arricchire l’eredità della stessa lingua nazionale.
Naturalmente alla base di una discussione su tali materie resta una norma fondante che è quella della lingua italiana senza cadere però nell’accettazione di una lingua che possa perdere la sua struttura originaria per favorire inserti, che provengono da altre forme di “meticciato” linguistico.
Si pensi sia alle Regioni del Nord che a quelle del Sud. Soprattutto nel Sud il dialetto si intreccia sia con la “parlata” sia con componenti etno-antropologiche da cui nasce la funzione della Demoetnoantropologia sia con forme strettamente letterarie e musicali che solcano legami di tradizioni e costume. Tra queste, la Puglia diventa un punto di riferimento con le varianti del Griko, del Greco, del Salento, della caratteristica Ionica e Magno Greca, ellenica, con il vocabolario della Daunia, con quello messapico oltre alle tre direttrice etniche che costituiscono l’asse centrale di un recupero di modelli propriamente etno antropologici presenti nella provincia di Lecce, (Griko), in quella di Taranto (Arbereshe) e in quella di Foggia con Occitano e Arbereshe).

Questi sono Beni culturali che vivono nella dimensione dell’immateriale. Il bene culturale immateriale ha un vocabolario di strumenti che sono il senso delle lingue e delle tradizioni.
La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e paesaggio per le province di Brindisi Lecce e Taranto (Mibact) sta sviluppando degli importanti studi intrecciando il modello etnico di appartenenza con quello del dialetto, in una sinergia in cui la parlata diventa recupero della tradizione e quindi di una memoria storica come vuole, appunto, la lettura del bene culturale.
In Puglia la Giornata del dialetto e della parlata rientra in questa lettura che ha la capacità di scavare nella memoria di una civiltà e nei processi ereditari delle comunità. Il 17 Gennaio di ogni anno la Giornata del Dialetto e delle Lingue locali assume una connotazione di primo piano nella civiltà dei beni culturali immateriale anche nella geografia Arbereshe, Grika e Salento – Messapico, Magno Greco.
La lingua italiana, comunque, è lingua nazionale di un popolo con le “dovute” varianti. Ma non si può parlare di bilinguismo “etnico” o storico ad oltranza. Ci sono casi da riconsiderare e fenomeni che andrebbero riletti come la presenza, non solo culturale, ma linguistica della lingua albanese in alcuni centri italo – albanesi, presenti addirittura in sette Regioni dell’Italia centro – meridionale. Qui si pone un problema molto serio. Un conto è definire il rapporto tra etnia albanese presente in Italia e tutela della lingua albanese. Un altro dato invece è tutelare l’albanese come lingua.

I dialetti sono dentro la storia della Nazione e hanno fatto la lingua italiana. Partiamo da questo presupposto senza confondere gli aspetti ma con delle idee precise e con una volontà, che possa puntare sia alla tutela che alla valorizzazione. Il vocabolario dei dialetti, soprattutto nelle aree meridionali, assomma un “laboratorio” di stili che vanno dal grecanico antico alle varienti magno – greche, al bizantino sino ai segni meticciati di una lingua post-unitaria e tardo risorgimentale che ha interessato l’intera Nazione con le varianti nordiche.
La stessa lingua italiana, d’altronde, nasce da forme di dialetto che hanno avuto però la loro ramificazione sul territorio italiano.

Si impone, ora, una meditazione. soprattutto perché si è consapevoli che l’unità della lingua è una eredità che definisce il portato storico nella modernità della cultura e della civiltà di un popolo.
Un solo esempio tra le Regioni lungo il tracciato dei “saperi linguistici” mediterranei.

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