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Per il dizionario della lingua italiana De Mauro, il sostantivo femminile “rete” ha quasi una ventina di significati, tra i quali alcuni sono noti ai più (la rete da pesca o la rete del campo di calcio), altri immagino siano conosciuti giusto dagli addetti ai lavori (quello impiegato in ambito culinario o di geometria algebrica, ad esempio).

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Tra i tanti, quello a cui si riferisce la comunità di “Grottaglie In Rete” è senz’altro quello che la definisce come “un insieme di persone o enti che lavorano in collaborazione sotto la coordinazione di un unico centro o di un’unica persona”; una rete, per sua natura, è composta da “fili” che son tutti necessari e nessuno indispensabile, o quasi. Oggi “rete” riempie spesso la bocca di politucoli e “maitre a penser”, insieme a “sinergia”, “terzializzazione”, alternative sostenibili”, “fare sistema” e tante altre che suonano bene ma dicono poco. La rete, in questo secolo, è la Internet, una rete reale di connessioni elettriche che avvolgono il mondo ed una rete virtuale di contatti, comunicazioni, affetti e notizie che viaggiano in un battibaleno da un capo all’altro dei cinque continenti. Una rete reale anche se intangibile che, ironia del destino, sempre più spesso tiene unite persone che i casi della vita hanno voluto lontane. Emigranti che ritrovano le loro origini, studenti universitari che seguono in “streaming” i riti in onore del santo patrono di origine, genitori che possono mostrare ai loro figli in quali luoghi, alla loro età, correvano, giocavano, studiavano. E sempre per ironia della sorte, pare che tanto la rete riesca a stringere chi è lontano, tanto separi chi è vicino. Nello stesso paese, nella stessa città, la rete diventa quella del recinto, del limite, del segno tangibile che divide chi è con noi da chi è contro di noi. Una rete soprattutto mentale, che impedisce di cercare (ancor prima che di trovare…) un minimo comune denominatore, puntando invece l’attenzione su ciò che, a torto o a ragione, divide.

Una rete di pollaio, un recinto da ovile e come polli da spennare o ovini da tosare prima e da macellare poi vengono trattati coloro che da queste reti si fanno installatori e sentinelle, orgogliosi della loro ortodossia ed ignari del fatto che di buona lena stanno segando il ramo dell’albero su cui sono seduti. Altrove, sempre più spesso, i principi di cooperazione, solidarietà, unione vengono applicati, sacrificando gli egoismi individuali al bene comune, consapevoli che il totale del gruppo è maggiore della semplice somma aritmetica dei singoli; altrove gruppi sociali coesi e determinati hanno visto riconosciuti diritti che qui da noi, duole dirlo, ci auguriamo vengano invece benignamente concessi dal potente di turno.

Guardiamoci intorno e riflettiamo: quanto di più potrebbero ottenere i nostri contadini se riuscissero a fare fronte comune fissando dei prezzi condivisi per i prodotti agricoli, uva in primis? Quanto potrebbero pretendere gli artigiani del quartiere delle ceramiche se tutti insieme esercitassero nei confronti di Comune, Provincia, Regione una “class action” volta ad ottenere un minimo di servizi (parcheggio, indicazioni turistiche, pulizia strade, punti di accoglienza e informazione) utili ad incrementare i flussi turistici? E quanto di meno spenderebbero, le suddette categorie, se unite promuovessero gruppi di acquisto, campagne pubblicitarie, riconoscimento di marchi di qualità e di origine, portali internet e fiere di settore?

Altrove si fa (basta pensare, ancora una volta, alla Valle d’Itria o alla riviera romagnola…), e chi di noi vive, lavora, studia in quell’ “altrove” lo vede, lo dice, quasi lo urla chiedendosi perché li si ed a li Vurtagghie no?”. Gia, perché? Perché sembra che il passatempo più in voga sia denigrare quello che fanno gli altri, dire dove hanno sbagliato, quanto brutto è il risultato, quanto sono “venduti”, “amici degli amici”, “muntati ti capu” e chi più ne ha più ne metta.
Costoro si ritirano sdegnati ed altezzosi sul loro Aventino e dall’alto della loro superbia trinciano giudizi su chi suda, lavora, si danna per rianimare un panorama culturale asfittico, per dare vita ad una economia rantolante, per cercar nuove soluzioni a vecchi problemi.
Il fatto è che non sbaglia mai solo chi non fa mai, ma così è troppo facile; e non a caso gli ignavi furono da Dante Alighieri considerati indegni perfino di scontare le pene dell’Inferno.
Diventa allora necessario, quasi indispensabile, lavorare in rete, anzi essere una rete, in grado di far viaggiare idee, proposte critiche e commenti in maniera rapida e omnidirezionale, senza vertici monolitici e senza anarcoidealismi in cui tutti decidono tutto e nessuno decide niente, perché un mese perso oggi è vitale, perché siamo circondati da competitori che dai Balcani e dal Nord Africa stanno erodendo sempre più consistenti fette di mercato, mentre da noi ci trastulliamo osservando il teatro dei burattini che da anni mette in scena la stessa commedia con gli stessi, muffosi personaggi.

Altrove si fa, lo stanno facendo, e prima ce ne renderemo conto e saremo capaci di capirlo ed agire di conseguenza e meglio sarà.
Intanto, le stelle stanno a guardare…

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