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Si racconteranno, qui sotto, le vicende del bulbo che nella cucina di Grottaglie fa da re ma che, ad insaputa di molti, è condannato ad una sorte avversa e una vita di tormenti: il lampascione.

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Tanto per cominciare appartiene alla famiglia delle Lilliacee, come la cipolla e l’aglio: è anch’esso un bulbo commestibile però decisamente meno famoso. Nessuno dice : “Il meteo è variabile, vestiamoci a lampascione ” o “Mangia i lampascioni che tieni lontani i vampiri”. Il suo nome è quasi sconosciuto al di fuori del meridione e solo pronunciarlo fa venire immediati dubbi sull’appartenenza alla lingua italiana del termine che suona dialettale (in realtà deriva dal latino medievale lamapadio, lampadionis ).
Vive sotto terra ad una profondità di 20-30 cm e non vede la luce fino a quando, nel periodo di raccolta che dura fino all’inverno, viene estratto con una sorta di zappa a lama stretta o con le mani. Il lampascione che vorrebbe essere baciato dal sole e accarezzato dal vento però aderisce perfettamente al terreno e si estrae con estrema difficoltà solo quando raggiunge mediamente un diametro di 4-5 cm. Decenni fa, infatti, erano le dita più sottili dei bambini e delle donne che si occupavano della raccolta per compiere l’operazione con dovizia e precisione.

Non tutti sanno che quella del lampascione è una pianta spontanea che cresce in maniera del tutto selvatica, senza il bisogno di essere coltivata. Chi vuole procurarsi i frutti però può riconoscere il periodo giusto per la presenza di meravigliosi fiori. Ed ecco l’ennesima sventura del lampascione. Somiglia a una cipolla ma è più piccolo, cresce sotto terra ma non è una patata e per di più vive nell’ombra dell’ingombrante bellezza dei fiori azzurro- violacei che lo sovrastano.
Dopo la raccolta il lampascione viene pulito accuratamente, si asporta la base , qualcuno lo sbuccia , qualcuno lo sbollenta con il sale e poi è pronto per essere cucinato ed assaporato. Il bulbo della Puglia vede nelle papille gustative l’ultima speranza di un riscatto per una vita di disgrazie e quando finalmente viene portato alla bocca, sprigiona i suoi aromi e arriva il sapore. Amaro. Il lampascione è amaro, il sapore che tra tutti è più facile da disprezzare.

Eppure, di solito da adulti, quando il palato è ormai raffinato, il misterioso bulbo viene adorato e usato in cucina per il suo gusto deciso, unico, elegante. Fortunatamente, nella sua vita di stenti il lampascione ha accumulato potassio, ferro , calcio e magnesio ed ha acquisito proprietà diuretiche ed emollienti. Ai tempi degli antichi romani si narrava che fosse addirittura afrodisiaco e che lo mangiassero i mariti poco attratti dalle mogli prima delle prestazioni. Marziale in un epigramma recita: “Avendo tu una moglie vecchia e le membra languide, non devi saziarti d’altro che di bulbi “ (Epigramma XXIV, Libro 13).
La riuscita è discutibile, non se ne hanno le prove nonostante i consigli di Marziale, Apicio e altri autori classici ma non nuoce tentare e concedere al caro Lampascione la sua grande, finale, rivincita.

Lampascioni al forno
per 4 persone

500 g di lampascioni
500g di patate
Olio, sale e pepe
Pulire i lampascioni, togliere le foglie più esterne e tenerle in acqua fredda per 5-6 ore , cambiando spesso l’acqua. Asciugarli con un canovaccio e fare un taglio a croce alla base. Oleare una teglia larga e disporvi i lampascioni misti alle patate sbucciate, tagliate a fette, lavate e asciugate. Condire con sale e pepe e irrorare con abbondante olio di oliva; passare nel forno e far cuocere per circa un’ora.

P.S. : a Grottaglie i lampascioni si gustano anche fritti, sott’olio, ad insalata, con le fave.

Ricetta di Luigi Sada, “La cucina pugliese”, Newton Compton Editori, Roma, 2001

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