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La letteratura è il labirinto che si impossessa del silenzio e della morte. Il resto è fatto di dediche. La poesia è lacerazione sempre.

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Non spiegatemi una poesia.

Non commentarla mai. La magia può essere spiegata? Tutto il magico passa attraverso la poesia. Tutta la poesia passa attraverso l’alchimia.
La poesia nasce nella musica. La musica è un suono della mente che vive nella parola pronunciata o pensata. La tradizione occidentale non ha una sua poesia autoctona. Catullo? Virgilio? Sono figli della Grecia non occidentale che invidiano il mondo egiziano e Saffo e Anacreonte. L’Occidente non esiste se non entra nel mondo della stregoneria orientale.
A cominciare da Omero. Sino a Dante. Dante con la commedia ha spezzato molto Oriente cercando di piegare il tutto con una lezione platonica. È riuscito a farlo solo nella Vita nova. La Commedia è il delirante percorso di un intellettuale che si credeva profeta.
Il resto è studio e non magia. La scuola siciliana quando trova il suono tocca la poesia. Così Cavalcante e Guininzelli. Poliziano ci riesce. Foscolo nei Sonetti è sublime. Nei Sepolcri è patetico. Veronica Franco è stile perché assorbe gli Orienti da Venezia. Petrarca è un maestro a volte decadente. Boccaccio oltre Fiammetta è un cercatore di sarcasmo. Il Barocco è intrigante nell’epoca contemporanea. Nel Seicento era una “palla” con il vizio dell’accademismo. Cercare la parola giusta per esprimere il concetto errato.

Il limite dell’Occidente è nella linea Dante / Carducci. Leopardi è malinconia serale, ma, tranne in alcuni testi, è scolastico e diventa un salice piangente e tale resta fino a riscoprirlo come la menzogna della filosofia. Ma anche lui si serve dell’Oriente e dei pastori erranti.

Pascoli rompe con i Poemi conviviali e il viaggio è metafora estasi. Poi ci saranno i crepuscolari incerti e musichieri. Il Futurismo cambierà le carte. Ma è Boccioni il maestro d’arte e d’amore. Arte rivoluzione, come tale deve essere l’arte e come tale deve essere la rivoluzione.

In Spagna la tradizione poetica è suono. Flamenco. Musica e poi parola. In Francia è canzoniere. Tutto è nell’eresia nella Spagna dei processi cattolici inquisitori.

In Italia la musica è stata considerata un sottoprodotto. Ovidio resta il grande poeta moderno ancora oggi. Ma grida al mondo l’importanza di una Grecia mitico arcaica. Dante senza Ovidio avrebbe raccontato flashback di sacerdoti in cerca di minorenni. Oltre la sua teologia banale.

Ungaretti spezza tutto ma ha la tradizione francese spagnola e l’esperienza egiziana. Credo che la modernità sia stata data da Garcia Lorca. Un poeta che suonava la parola sulle corde di una chitarra.

Non si ha poesia senza la musica, la danza, il canto popolare.

L’Oriente e l’Occidente si incontrano su queste sincronie di archetipi.

Adonis oggi è il più vero poeta. Montale è un dilettante tardo romantico che spreme limoni o li grattuggia. Quasimodo un diario oltre la Mater dulcissima. Sibilla Aleramo una poesia oltre la donna. Cristina Campo la piramide assoluta in un mondo di codardi. L’unica coraggiosa che manda a far in culo i cattolici moralisti e coglioni. Dentro ha l’irresistibile Maria Zambrano che riscopre Pirandello innovatore e Mediterraneo mentre in Italia fanno dondolare ancora i berretti a sonagli.

Pirandello e D’Annunzio aprono un Novecento letterario che stava per essere consegnato ai posteri demoni carducciani e oblati manzoniani. Ovvero il Novecento eretico. Che non è quello studiato nella scuola dei patetici slogan.

Il Novecento è nella tradizione andalusa cubana francese araba persiana che ha il cantico dei cantici dei sufi e vive nella favola orientale del forse c’era una volta. La poesia italiana, non ancorata a queste finestre, non esiste.
Ecco perché la magia resta fondamentale.

I suoni. Il ritmo. Non il racconto. Pavese è una dimostrazione tra il male e il bene e forse anche al di là, ma è nel selvaggio della morte che verrà con Leucò che vive come riferimento.

Platone è veramente rimasto nella caverna. La magia omerica dell’ulissismo è una grecitá ellenica e orientale. Ovidio aveva ben capito tutto ciò. In Lorca vive anche Ovidio. D’Annunzio in poesia canta La pioggia nel pineto. Il resto è Nietszche di Zaratustra.

Lo scavo esistenziale ha bisogno del canto per decifrare una visione poetica. La poesia è un attimo. Una attrazione. Una notte d’amore con la parola e mai una elaborazione. Il cantastorie cerca non la storia ma il canto. Avverte il tamburo che si fa lingua. Il resto è retorica. Oppure commentare cosa una capra possa dire (Saba).
Il verso è tutto. Ha ragione Gabriele. Non il raccontare. Il verso. I poeti sono una distrazione maldestra. Cantastorie disperati. I poeti. I poeti in cattedra e nelle redazioni sono gli illusi di un mondo che non sa neppure fingere.

I poeti si uccidono. Quando non muoiono, convivono con la morte mancata e strisciano sulle rughe della propria esistenza. Non raccontano paesaggi, ma rughe di labirinti.

Il poeta si porta dentro la stregoneria della luna e il vuoto del mare osservato nell’oblò del nulla.

Non spiegate una poesia.

Non commentate una poesia.

Non giustificate una poesia.

L’anima e la sua metafisica non si raccontano. Ci si lascia penetrare. In silenzio.

Il resto diventa teologia a spinta di benedizioni pagate a suon di contanti.

È triste dover raccontare la letteratura poesia quando la poesia stessa è stregoneria e il poeta è uno sciamano.

Perché triste? Perché il poeta percepisce ciò che gli altri non vedono. Perché il poeta intuisce ciò che gli altri studiano. Perché il poeta inventa la morte il mistero gli echi i vissuti e fa urlare di amplessi le capinere.

Non confondete mai il poeta. Non create comparazioni. È il vero tragico libero che se ne fotte delle virgole, dei punti e virgola e anche dei punti. Il poeta è l’istrione indissolubile che vive per virtù non di spirito santo, ma di fuochi sacri agli dei e agli stregoni.

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