Pubblicità in concessione a Google

Oggi, primo giorno dell’anno civile, la Chiesa festeggia una delle tre solennità mariane che contraddistinguono il calendario liturgico: Maria Madre di Dio. Se tutte le feste dedicate alla Santa Vergine sono pressocché innumerevoli, in virtù dei titoli che le sono attribuiti, le solennità sono soltanto tre: Maria Madre Dio (oggi), l’Assunzione (15 agosto) e l’Immacolata Concezione (8 dicembre).

Pubblicità in concessione a Google

Queste tre hanno un grado di festa più importante delle altre perché sono nate direttamente da un dogma mariano che fa da base teologica ed esprimono una realtà della Vergine piuttosto che un titolo. Infatti, hanno come sfondo teologico la maternità divina (Concilio di Efeso del 431), l’Assunzione (dogma proclamato nel 1950) e l’Immacolata Concezione (dogma proclamato nel 1854). L’origine di questa solennità è dunque molto antica tanto da potersi ricollegare al Concilio che circa sedici secoli fa definì la questione della maternità divina di Maria. La proclamazione del Concilio di Efeso e tutta la discussione precedente è in realtà cristologica, cioè si tratta di una riflessione su Cristo, più che su sua madre. Vediamo cosa accadde. In Concilio si scontrarono due posizioni avverse che sostenevano tesi contrastanti circa l’unità delle nature umana e divina in Cristo. La posizione di Nestorio, partiarca di Costantinopoli, esaltava l’umanità di Gesù tanto da vederla divisa dalla divinità; perciò Gesù non sarebbe stato veramente uomo e veramente Dio, ma un uomo “portatore” di Dio. L’altra posizione era quella di Cirillo di Alessandria il quale sosteneva l’unità perfetta delle due nature nell’unica persona di Cristo. Le discussioni conciliari furono molto accese e prevalse la posizione degli alessandrini, quelli rappresentati da Cirillo. L’unione delle due nature è dunque perfetta in Cristo ed essa si è realizzata nel grembo di Maria. Come dunque si spiega che Maria è “Madre di Dio” e non solo “Madre di Cristo”, come sostenevano i nestoriani? La soluzione del quesito teologico sta in una proprietà derivante dall’Incarnazione e che in latino suona così: “communicatio idiomatum” (tradotta in italiano significa “la comunicazione degli idiomi”). Detto in termini più semplici è la proprietà per la quale ciò che si può affermare del Verbo di Dio, lo si può parimenti dire dell’uomo Gesù Cristo poiché la perfetta unione delle due nature non consente la separazione delle rispettive proprietà. Questa realtà – e qui comprendiamo perché la discussione che in origine era solo su Cristo è diventata anche mariana – è tanto più vera anche per Maria. Perciò ella è realmente la “Madre di Dio”.

Inoltre, la solennità non può essere staccata dal tempo di Natale che caratterizza questi giorni. Dal giorno santo della nascita di Cristo, memoria della sua Incarnazione, nascono diversi misteri che la Liturgia ci ripropone nella commemorazione e uno è senza dubbio la divina maternità di Maria. Anticamente vi era un collegamento liturgico tra questa solennità e quella del Natale, tanto che questo giorno era definito “in octava Domini” (cioè nell’ottava del Signore) con un riferimento più che esplicito alla natività. E poiché Maria ha generato il Salvatore, si pone al centro della storia dell’umanità, tracciando per noi il cammino della crescita spirituale e umana come anche le letture bibliche odierne ci lasciano intendere. La prima lettura è tratta dal libro dei Numeri ed è la famosa benedizione che Dio insegna a Mosè e Aronne per benedire il popolo di Israele (Numeri 6,22-27). Leggendola salta subito alla memoria che è la medesima che San Francesco d’Assisi consegnò spiritualmente ai suoi frati ed è interessante che sia stata scelta per questa solennità mariana inserita nel contesto del Natale. Infatti non vi è altra benedizione più grande di Cristo stesso che viene a visitare il suo popolo. Egli incarnandosi è diventato la più grande benedizione che Dio potesse farci in quanto si è fatto ciò che noi siamo per elevarci a ciò che Lui è. Inoltre questa antica benedizione veniva pronunciata all’inizio di ogni anno dal sommo sacerdote e la liturgia ha conservato questo segno, dato che può essere pronunciata dal sacerdote per benedire le azioni e la vita dei fedeli.

Dello stesso tono gioioso e benedicente è il Salmo 67(66), di cui un’espressione ci riporta al mistero del Natale: “La terra ha dato il suo frutto”. L’immagine della terra che da il proprio frutto è riconducibile infatti a Maria nella quale ci è dato il vero frutto di Dio: Gesù Cristo nostro Salvatore. Tra l’altro avere dalla terra i frutti sperati è sempre stato inteso quale segno della benedizione divina ed è proprio di questa gioia che il Salmo vuole narrare. La seconda lettura è tratta dalla lettera di Paolo ai Galati (Galati 4,4-7) e riporta un’espressione tanto antica, quanto teologicamente alta. In essa Paolo scrive che “Dio mandò suo Figlio, nato da donna” (4,4). Sembra proprio che la discussione del Concilio di Efeso abbia avuto la sua risposta prima che si ponesse la domanda, poiché l’apostolo ci dice che Gesù, vero Figlio di Dio, è nato realmente da una donna di carne. Non sono escluse le nature umana e divina di Cristo, ma nel frutto della gravidanza di Maria sono portate a compimento per la vera unione realizzata in Cristo.

Che poi tale unione ha portato giovamento anche a noi, lo dice San Paolo stesso nel versetto successivo; infatti Gesù è nato da donna “perché ricevessimo l’adozione a figli” (4,5). A buon diritto Maria è Madre di Dio ed è anche Madre nostra. Un’iltima annotazione è sulla devozione che nella nostra diocesi si ha verso Maria vista quale Madre di Dio. È proprio bello notare che nel sentire comune è presente questo tratto devozionale per cui si riconosce Maria quale Madre del Salvatore e Madre del genere umano. È anche bello notare che una delle nostre parrocchie è dedicata a Maria Madre di Dio e mi riferisco alla Concattedrale di Taranto, opera voluta da mons. Guglielmo Motolese.

Pubblicità in concessione a Google