Calo-Vincenzo
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Roberto Burano non è solo un apprezzato professionista nel campo medico, ma anche un attivo protagonista di molti eventi culturali che si svolgono a Grottaglie, e non solo. Dalla sua penna, mossa da memoria e fantasia, riceviamo un racconto sugli ultimi giorni di vita di Vincenzo Calò, illustre cittadino grottagliese che molto ha fatto per il progresso della sua città. Il racconto ha come titolo: “Storia di un medico che divenne imprenditore ceramico, di un figlio che divenne direttore della Scuola ceramica e di un territorio che grazie a loro riportò l’arte della ceramica agli antichi fasti” e – per la sua lunghezza – è stato pubblicato in tre parti.  Potete leggere la prima parte cliccando qui e la seconda parte cliccando qui (N.d.R.)

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La fabbrica di ceramiche “Manifattura Calò” era nata dal suo amore per l’argilla e dalla volontà di favorire la passione giovanile del figlio per la ceramica. L’argilla per lui non era solo arte ma anche presidio medico.

Spesso, infatti, l’aveva usata come rimedio per svariate malattie. L’aveva utilizzata come antisettico, come cataplasma, come cicatrizzante e come energizzante. Spesso amava ricordare come durante l’infuriare delle precedenti epidemie del colera, del vaiolo e della spagnola fosse ricorso all’ausilio dell’argilla come disinfettante, procedura fortemente consigliata dal professore Julius Strumpf dell’Università di Berlino.

Aveva utilizzato anche su se stesso, per combattere il dolore di stomaco che lo affliggeva, una soluzione colloidale di argilla ed inizialmente ne aveva tratto notevoli benefici. Per tutte queste sue caratteristiche l’argilla, quindi, era preziosa. Non era oro, ma poteva facilmente nobilitare le case in cui entrava attraverso le sue preziose ed insostituibili applicazioni pratiche, infatti poteva anche essere plasmata dall’ingegno e dalla maestria dell’uomo che la manipolava, trasformandola in piatti, bicchieri, tazze, vasi e persino in pavimenti.

Questa era anche la grande passione del figlio Cosimo: per amor suo aveva deciso di coniugare la professione medica con quella di imprenditore ceramico, traendo dalla prima i mezzi economici per alimentare la seconda, investendo in essa oltre un milione di lire oro, una somma grandissima, tenendo conto che il ritornello di una canzone in voga in quegli anni così recitava:” se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità…”.

Calo' Villa e parco 1

L’azienda era sorta in un’area retrostante la sua villa, in grandi locali pieni di luce e di aria, completamente diversi dalle altre botteghe grottagliesi ove si lavorava l’argilla. Dinanzi all’azienda, quasi in continuità con il Parco delle Rimembranze, aveva creato un giardino, che era curato amorevolmente da Cosimo Blasi: un grande lavoratore che non si fermava mai sul lavoro e non si sedeva mai, neanche a mezzogiorno per mangiare, quasi fosse impedito fisicamente a farlo (questa caratteristica gli era valsa un soprannome che sarebbe poi passato anche ai suoi discendenti: “zzippunculu”).

Nella sua professione medica aveva visto tante malattie legate all’attività figulina, per cui fu antesignano anche nella scelta delle attrezzature. Comparvero grandi macchine elettriche per frantumare la creta; risparmiò la fatica ai poveri asini che, bendati, facevano girare le macine: il tintinnio dei loro campanelli fu sostituito dal rumore degli ingranaggi. Le muffole elettriche garantirono pari efficienza dei forni a legna, causa indiscussa di tante malattie del sistema respiratorio. Nella produzione di ceramiche di tipo greco, all’uso dell’ ingobbio di creta rossa, che con la cottura in “riduzione” diventava nera, preferì lo smalto nero che rimaneva tale con la normale cottura in” ossidazione”.

In effetti per effettuare il cambiamento cromatico in cottura della patina di creta rossa in nero era necessario ridurre la quantità di ossigeno presente nel forno con tecniche che liberavano monossido di carbonio, causa indiscussa di molte intossicazioni talvolta mortali. Fu dunque proprio l’uso dello smalto nero a rendere più salubre l’aria della sua azienda. Insomma dove individuava tecniche nocive alla salute degli operai, lui si preoccupava di apportare “il cambiamento”.

Aveva fatto costruire una grandissima sala che aveva adibito ad esposizione permanente, un godimento squisito per il visitatore che rimaneva sempre sorpreso e meravigliato per la bellezza di quei manufatti d’argilla modellati sempre con proprietà dalle forme più semplici alle più classiche. La sua fabbrica era divenuta per questi motivi il suo orgoglio ed aveva trasferito su di essa il suo apostolato medico creando per i suoi dipendenti, che considerava collaboratori, posti di lavoro sicuri. Anche nella scelta dei collaboratori risultò innovativo, visto che preferì proprio quei giovani che provenivano da famiglie nelle quali era presente la tradizione per l’arte della ceramica. Aveva sempre una particolare attenzione per la loro istruzione e, motivandoli, non perdeva occasione di congratularsi con loro ogniqualvolta producevano oggetti che soddisfacevano il suo gusto estetico.

Nel suo viaggio onirico notturno Vincenzo si trovò nel locale del tornio ove intravide il suo fidato torniante, il maestro ceramista Oronzo Mastro, intento al suo lavoro. Oronzo lo accolse con un saluto caloroso. Rivide anche la grande scritta che lui stesso, con grande senso dell’umorismo, aveva fatto attaccare alla parete per motivare il suo collaboratore, in un momento in cui era stato accusato di non essere lui l’artefice dei suoi pezzi ceramici. La scritta diceva “Dove la stella brilla l’invidia strilla”. Cullato dai dolci ricordi di un sonno malato pieno di amici, Vincenzo venne svegliato dalla voce della moglie che gli chiedeva qualcosa.

Aveva aperto gli occhi e si era accorto che il sole era calato, era buio ed era difficile distinguere nitidamente chi gli stava vicino. In realtà non riusciva neanche a venir fuori dal sonno, sembrava caduto nelle sabbie mobili e più si muoveva… più sprofondava. Aveva rifiutato ancora il cibo, aveva voluto solo un po’ d’acqua per poi riaddormentarsi.

Trascorse l’ennesima notte tra continui risvegli ed assopimenti con quel dolore allo stomaco ormai per lui insostenibile. L’indomani mattina il suo volto alla luce del sole apparve cereo, il naso affilato più del solito, le labbra semiaperte ed il respiro frequente. Furono chiamati al suo capezzale il dottor Vittorio Saldutti di Grottaglie ed anche alcuni colleghi medici di Taranto, e con strazio di tutti la loro prognosi fu infausta, ineluttabilmente infausta. Il sole splendeva alto e caldo in quell’ultima domenica di agosto.

Incuranti della canicola amici e conoscenti, cittadini e forestieri affollarono la villa, desiderosi di dare l’estremo saluto all’apostolo della salute. In quella piccola folla si potevano riconoscere don Giuseppe Petraroli, Nicola La Sorte, Alberto Cressati con la figlia Adele, il professor Guido Renai, la signorina Angelina Petrera, Ennio e Pietro Marinaro, Michele Di Palma ed il figlio Gennaro. Intanto a Vincenzo era stato somministrato del laudano che gli aveva permesso di addormentarsi senza quei fortissimi dolori.

Appena addormentato ecco farsi incontro a lui un altro amico, il cappuccino Francesco Rosati, un grottagliese morto lontano dalla sua città, esperto di ceramica, di fisica e di meccanica. Lo aveva conosciuto nel 1910. Lo aveva consultato durante la realizzazione della sua industria ceramica e su suo progetto aveva realizzato alcune muffole e, soprattutto, la grande ruota dentata in legno del mulino per macinare l’argilla, orgoglio e vanto della “Manifattura Calò”.

Calo' Villa e parco 2

In questa visualizzazione immaginifica loro parlavano ancora di nuove macchine e di progetti in compagnia di tre giovani che si erano avvicinati salutando affabilmente il dottore ed abbracciando il cappuccino. Erano i tre fratelli del cappuccino: Lorenzo, Ciro e Giuseppe Rosati, figuli di grande valore, i migliori discepoli del grande ceramista grottagliese Ciro Lapesa, che si erano trasferiti alla fine dell’Ottocento a Corfù, dove avevano aperta una grande fabbrica ceramica. La loro amicizia era nata molti anni prima grazie al professor Anselmo De Simone ed era sempre stata ispirata alla collaborazione.

Mentre parlavano animatamente di ceramiche, il sogno di Vincenzo si interruppe in quanto svegliato dalla moglie e dal figlio preoccupati dai suoi movimenti inconsulti. Intorno a sé però Vincenzo vide tanta nebbia da cui affioravano i volti increduli dell’amata moglie “Checchina”, del suo diletto figlio “Mimino” e dell’adorata sorella “Sisina”. Tentò di rassicurarli, ma dalla sua bocca vennero fuori solo dei suoni rochi, affannosi ed incomprensibili. Sopraggiunse improvvisamente la luce del nuovo giorno che cominciò a filtrare dalla finestra. Intorno a lui solo ombre e nebbia, tanta fitta nebbia. Poteva percepire solo una specie di girotondo di persone che gli roteavano intorno; due di queste gli si avvicinarono facendo intravedere le loro fattezze: erano suo padre e sua madre che si avvicinarono al letto ed incominciarono ad accarezzarlo dolcemente.

Oramai gli assenti vivevano in lui più dei presenti, preparandolo a quella vita superiore in cui lo avevano preceduto. Sentì all’improvviso la voce del suo amico Francesco Blasi che diceva: “Senz’occhi mi vedrai, m’ascolterai senz’orecchi mi risponderai senza voce. E la mia anima starà innanzi alla tua, come face che non trema per vento, e ti dirà la parola che non suona ma luce“.

Luce! Sì, Vincenzo sentì il bisogno impellente di luce, aprì gli occhi e fissò intensamente la luce del sole, che entrava dalla finestra, quasi a volerla imprimere indelebilmente nella memoria.

A quel punto tutti ebbero la netta sensazione che quella stanza si stava trasformando in un luogo sacro, ove si stava compiendo un rito. Mentre il sacerdote, don Peppino Petraroli, recitava le preghiere dei morenti, Vincenzo chiuse gli occhi, inspirò profondamente come in preda ad una gran sete d’aria, poi espirò tutta quanta l’aria e rimase immobile. Contemporaneamente, con la testa che gli pulsava, quasi fosse sul punto di esplodere, si ritrovò catapultato in una grande stanza buia in fondo alla quale si intravedeva una stretta apertura dalla quale usciva una grande luce e vicino la mamma che con la mano gli faceva cenno d’avvicinarsi.

Si rasserenò, affrettò i suoi passi e varcò la Soglia. Erano le sei e trenta del mattino del 28 agosto del 1933 e dopo un forte tuono incominciò a cadere una fitta pioggia, come se anche il cielo avesse voluto piangere insieme ai grottagliesi.

 

 

Bibliografia
Rosario Quaranta – Silvano Trevisani: Grottaglie Uomini Illustri
Francesco Stea – Luigi Galletto: Amministrazioni e Amministratori postunitari grottagliesi
Nicola Vacca : Saggio sulla ceramica salentina
Cosimo Calò:I figuli di Grottaglie
Autori vari: Raccolta orazioni funebri :Vincenzo Calò XVII Novembre MDCCCLXI XXVIII Agosto MCMXXXIII
Primaldo Coco: La Provincia dello Jonio
Giuseppe Petraroli : La scuola d’arte di Grottaglie
Giuseppe Petraroli: In memoria del Dottor Vincenzo Calò
Giuseppe Petraroli: Cenni Biografici dei ceramisti ed artisti Grottagliesi
Giuseppe Petraroli: Vincenzo Calò e Camillo De Rossi
Giuseppe Petraroli: Scuola d’arte statale “Vincenzo Calò” di Grottaglie
Rivista Sovrana: Ricordo di Vincenzo Calò di Giuseppe Cavallo
Il Giornale d’Italia – 3 settembre 1933: I solenni funerali a Grottaglie del Grand’Uff. Dott. Calò
Il Popolo di Roma – 2 settembre 1933: Tutta la provincia Jonica si è radunata attorno al feretro di Vincenzo Calò
La gazzetta del Mezzogiorno – 3 settembre 1933: Vincezo Calò
Voce del Popolo – 2 settembre 1933: Vincenzo Calò
Il Mattino – 5 settembre 1933: Per un ricordo marmoreo a Vincenzo Calò
Reale Scuola per la ceramica di Grottaglie:Protocollo delle deliberazioni del Consiglio
Il popolo Jonico 5 aprile 1929: L’onomastico del Grand’ufficiale dott. Calò
Archivio Parrocchiale Maria SS.ma Annunziata Grottaglie: Libro dei Battesimi anno 1861 p. 91, n. 256
Libro dei morti 1933 p. 56 n.166
E. De Giorgio:Domenica in Albis
Silvano Trevisani: Emanuele De Giorgio si racconta.

 

Il presente articolo è una riduzione ed un adattamento di un’opera originale di Roberto Burano. Non è consentito l’utilizzo e la riproduzione in tutto o in parte, con alcun mezzo, di quanto pubblicato senza il preventivo ed esplicito consenso dell’Autore (N.d.R.)

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