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Questa via,ora intitolata al famoso poeta barocco locale, nei secoli passati era conosciuta ed indicata come via S.Veneranda per l’omonima chiesa dedicata alla martire cristiana.

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Giuseppe Battista (1605/1675) e’ uno dei massimi poeti di quel periodo letterario che è il Seicento italiano: morì a Napoli e fu sepolto nella Chiesa di San Lorenzo. Un personaggio importante , che indirizzò la cultura nella Napoli spagnola del tempo.

E Benedetto Croce: “Non solo il Marino fu caposcuola di poesia in quel secolo, ma altri che parvero già rispondenti al crescente bisogno di ‘novità, come, in quella sorta di ‘secentismo del secentismo’ che fiorì nella seconda metà del secolo, Giuseppe Battista e Giuseppe Artale, l’uno capo, l’altro sottocaposcuola“.

E Maria Zambiano, filosofa e saggista spagnola così lo cesella: “Perso nella luce, errante nella bellezza, povero per eccesso, folle per troppa ragione, peccatore in stato di grazia”.

Una sua frase che lo delinea in tutto il suo orgoglio e la sua forte personalità. Nella Lettera a Giovanttista Manzo marchese di Villa, p. 82, scrive: “A Dio per debito, a’ letterati per affetto ho sacrificato solamente me stesso”.
Il duca delle Grottaglie, Giovanni Cicinelli, principe di Cursi, lo andò a trovare prima della morte per testimoniargli la sua stima. Le esequie, infatti, furono fatte a sue spese e il Cicinelli gli comprò anche il “posto” per la sepoltura, a destra entrando dalla porta piccola della medesima chiesa.

Il dr.Lorenzo Crasso, ”amicissimo delle Muse”,(cosi’ si definiva egli stesso) fece scolpire sulla tomba del Battista il seguente epitaffio:
Iosepho Baptista,nostrae aetatis clarissimo,
viro maximo,et incomparabili
maximum incomparabilis amicitiae testimonium
Laurentius Crassus
Posuit
Anno MDCLXXV Die X Martii

Traduco per chi non ha dimestichezza col Latino:
A Giuseppe Battista,tra i piu’ illustri del nostro tempo,
grandissimo ed impareggiabile personaggio,
come nobilissima testimonianza di una smisurata amicizia
Lorenzo Crasso pose,
nell’anno 1675, 10 marzo.

Con la sua via, mi piace ricordare una sua poesia che il prof. Mario Marti, mio professore di Letteratura Italiana dell’Università di Lecce assieme a Gino Rizzo, mi fece conoscere nei lontani anni universitari: è intitolata “Il ritorno al paese natale”.

Miro quel giorno pur, che de’ miei giorni
sarà fausto preludio alla quiete,
ed io, sepolta ogni fatica in Lete,
oziosa godrò l’ombra degli orni.
Voi, d’inculte boscaglie ermi soggiorni,
province popolate a me sarete;
voi, della patria mia rupi secreta,
lusingate a letizia i miei ritorni.
Diedero, della luce a’ primi inviti,
l’euro quivi talor, talor qui l’ostro,
aria reciprocata a’ miei vagiti.
Ecco, di tufi infranti il picciol chiostro
dov’io, per fabricar metri eruditi,
sparsi a note latine il primo inchiostro.
( Da “Poesie meliche” parte IV 1664 )

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