
Arriva l’autunno e con lui torna puntuale, quasi come un rito antico, la raccolta delle olive. A Grottaglie, come in tanti paesi del Sud, non è solo una questione agricola, ma una faccenda di famiglia. Un affare casalingo. Un appuntamento che divide i cuori: per molti ragazzi è un incubo, per altri un’occasione per riscoprire un legame con la terra che odora di passato, di identità, di pane e olio buono.
Ogni anno centinaia di famiglie grottagliesi tornano nei loro piccoli appezzamenti di terra – pochi alberi, spesso ereditati dai nonni – per raccogliere le olive e portarle al frantoio. Non si tratta di produzioni su larga scala, ma di un gesto antico che resiste al tempo e alla tecnologia. Un gesto che ha il sapore della dieta mediterranea, ma anche quello delle schiene rotte e delle mani nere.
Un rituale che continua ancora oggi, in un’epoca dove tutto è veloce, automatico, digitale. Qui no. Qui si fa ancora come una volta: con le reti, i bastoni, le mani. Un patrimonio immateriale che ha ispirato anche racconti, ricerche e articoli, come quello pubblicato sul nostro portale a tema olio extravergine d’oliva.
Indice dei contenuti
- Un incubo per i ragazzi, un rito per gli adulti
- Come si raccoglie l’oliva in famiglia
- Dal campo al frantoio: il viaggio dell’oliva
- Il miracolo dell’olio: oro verde di casa
- Più che un lavoro: è cultura familiare
Un incubo per i ragazzi, un rito per gli adulti
“Sabato andiamo a raccogliere le olive”. Basta questa frase per mandare in crisi intere generazioni di adolescenti grottagliesi. Perché l’idea di svegliarsi presto, infagottarsi nei giubbotti, e passare ore a battere rami non è proprio il sogno del weekend. Eppure, per molti adulti è un momento importante, da vivere insieme. Un giorno che si aspetta quasi con affetto, tra termos di caffè caldo, panini con la frittata e racconti sotto gli alberi.
È in quei momenti che si rinnova il senso della fatica condivisa. Lì dove la noia dei giovani si scontra con la nostalgia dei più grandi, e dove ogni oliva che cade nella rete porta con sé un pezzo di famiglia, di storia, di legame con la terra.
Come si raccoglie l’oliva in famiglia
La scena è sempre quella: un terreno con dieci, venti alberi. Le reti stese a terra, il bastone di legno o in fibra, le mani pronte a “pettinare” i rami. Qualcuno usa gli agevolatori elettrici, ma molti ancora preferiscono il tocco diretto, alla vecchia maniera.
Si parte presto, si lavora in gruppo. Le olive cadono sulle reti, e lì inizia la selezione: si tolgono le foglie a mano, una a una, con la pazienza di chi sa che ogni passaggio conta. Le cassette si riempiono, le mani si sporcano, le schiene si piegano. Ma si ride anche. Si litiga per chi lavora meno, si fa a gara a chi riempie prima la cassetta. È più che una raccolta: è una scena di vita.
Dal campo al frantoio: il viaggio dell’oliva
Quando le cassette sono pronte, si caricano in macchina – spesso ancora le vecchie station wagon o i furgoncini dei nonni – e si portano al frantoio. A Grottaglie e dintorni, ce ne sono diversi, ognuno con la sua clientela storica, la sua atmosfera, il suo profumo inconfondibile.
Al frantoio si aspetta. C’è chi ha prenotato, chi è arrivato con le “olive in giornata”, chi chiacchiera con altri produttori. Si parla della stagione, della resa, della pioggia e del sole. Si fanno confronti, stime, battute. Poi arriva il momento della molitura: le olive vengono pesate, frante, trasformate in olio.
Lì, in quel momento, accade qualcosa di magico: l’odore cambia, si fa intenso, vegetale, profondo. Quando esce il primo filo di olio verde acceso, qualcuno si emoziona. Perché quel liquido denso non è solo olio: è frutto di giorni di fatica, di tradizione, di orgoglio.
Il miracolo dell’olio: oro verde di casa
L’olio che torna a casa in taniche da cinque litri è molto più di un prodotto. È un tesoro. Ogni famiglia lo custodisce gelosamente. Si usa per cucinare, ma anche come regalo prezioso per figli, parenti lontani, amici stretti. Perché dire “ti porto l’olio di casa” equivale a dire: “ti porto qualcosa di me”.
Quell’olio finisce sulla bruschetta, sulle fave e cicorie, nei piatti delle feste. Ha un sapore che nessun supermercato potrà mai imitare. E ogni volta che lo si assaggia, si sente il peso della fatica ma anche la ricchezza della semplicità.
Più che un lavoro: è cultura familiare
Oggi la tecnologia entra ovunque. Ma nonostante trattori, droni e app agricole, ci sono cose che restano come una volta. La raccolta delle olive in famiglia è una di queste. È una scuola di vita. Ti insegna il tempo, la lentezza, il valore delle mani. Ti ricorda che la terra dà, ma chiede rispetto.
Quanti a Grottaglie hanno un pezzo di terra, magari piccolo, magari trascurato, ma che ogni anno torna protagonista? In silenzio, lontano dai riflettori, questa pratica si rinnova. È un’agricoltura della memoria, ma anche della resistenza. Perché finché ci sarà qualcuno che porta le olive al frantoio, ci sarà ancora un legame vivo tra passato e presente.
E allora sì, per molti ragazzi sarà anche un incubo. Ma sotto quell’incubo, c’è un’eredità che profuma di olio nuovo, di famiglia, di sudore e pane caldo. E forse, un giorno, lo capiranno anche loro.
