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Ogni volta che si avvicinano le elezioni regionali, a Grottaglie si riaccende sempre la stessa domanda: “Ma stavolta votiamo uno dei nostri?”. Una domanda che rimbalza tra bar, piazze, gruppi WhatsApp e post social, ma che raramente trova risposta affermativa nei numeri. Perché, puntualmente, i risultati smentiscono ogni retorica territoriale: i grottagliesi non premiano i candidati di Grottaglie.

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Una dinamica quasi inspiegabile, ma che si ripete con impressionante costanza. Candidati stimati, presenti sul territorio, attivi nella comunità… eppure il grosso dei voti va sempre altrove. Verso i “forestieri”, che magari a Grottaglie non ci hanno mai messo piede, se non per stringere qualche mano durante la campagna elettorale.

Un fenomeno che non è nuovo: già in passato ha fatto discutere, come nel caso delle elezioni regionali precedenti, quando candidati locali, seppur conosciuti e stimati, non raccolsero i voti necessari. Un comportamento che contrasta con quanto avviene in molti altri comuni, dove il senso di appartenenza porta a sostenere i volti locali quasi a prescindere. Una forma di campanilismo che qui, nel cuore della provincia jonica, sembra essersi smarrita. Ne parla spesso anche Il Post, in alcuni approfondimenti dedicati alla psicologia del voto locale.

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Una storia che si ripete

Le cronache locali sono ricche di esempi. Ogni tornata elettorale regionale vede candidati di Grottaglie scendere in campo con entusiasmo e determinazione. Si presentano ai cittadini con programmi, incontri pubblici, proposte concrete. Alcuni di loro hanno una lunga esperienza amministrativa, altri provengono dal mondo dell’associazionismo, altri ancora sono volti nuovi, ma con idee fresche e competenze solide.

Eppure, qualcosa si inceppa. I voti non arrivano. O meglio: arrivano, ma non bastano mai. Non abbastanza da garantire un seggio, non abbastanza da lanciare un segnale forte alla politica regionale. Grottaglie elegge, sì, ma raramente uno dei suoi. E i forestieri, ben radicati in altri territori, fanno incetta di preferenze anche qui.

Perché Grottaglie non vota i suoi?

Le ragioni possono essere molteplici. Alcune sono culturali, altre politiche, altre ancora emotive. Proviamo a elencare quelle più ricorrenti:

  • Diffidenza verso il vicino: in molti casi si preferisce affidarsi a chi non si conosce direttamente, forse per un meccanismo psicologico di sfiducia o rivalità latente.
  • Scarsa compattezza sociale: Grottaglie è una città grande ma frammentata, dove le logiche di gruppo spesso superano quelle di comunità.
  • Assenza di reti strutturate: a differenza di altri territori, manca una rete politico-organizzativa solida in grado di sostenere efficacemente il candidato locale.
  • Carisma dei candidati esterni: spesso i candidati forestieri sono figure mediaticamente forti, con una visibilità regionale che i locali non riescono a contrastare.

Insomma, il voto locale sembra rispondere più a logiche individuali che comunitarie. Più a percezioni che a appartenenze. E questo, nel gioco delle preferenze, pesa eccome.

Cosa fanno gli altri comuni?

Prendiamo l’esempio di Martina Franca o altri comuni. Quando un candidato locale si presenta, la macchina del consenso si muove compatta. In molti remano nella stessa direzione. Il candidato diventa un simbolo della città, una scommessa comune. Non importa il colore politico, conta la bandiera del campanile.

A Grottaglie questo meccanismo non decolla. Le differenze interne sono forti, e spesso le rivalità personali superano le logiche di coalizione. Anche quando più candidati locali sono in lizza, invece di unirsi, si dividono ulteriormente l’elettorato.

Le conseguenze politiche e sociali

Il risultato è che Grottaglie resta spesso ai margini delle dinamiche regionali. Senza un rappresentante diretto, il peso politico cala, le istanze locali fanno più fatica a emergere e i finanziamenti rischiano di deviare altrove. In altre parole: non avere un rappresentante significa contare meno.

Non è solo una questione di prestigio, ma anche di concretezza. Avere un consigliere regionale “di casa” vuol dire poter contare su un canale diretto con Bari, ma anche poter influenzare decisioni strategiche che riguardano sanità, trasporti, ambiente, lavoro.

Invece, delegare sempre ad altri significa rischiare di diventare periferia della periferia. E questo, nel lungo periodo, pesa sullo sviluppo locale.

Ci sarà mai un’inversione di tendenza?

La domanda resta aperta. Forse servirà una nuova generazione politica, capace di ricostruire il legame tra cittadino e territorio. O forse servirà un evento simbolico, un cambiamento sociale, una candidatura capace di unire anziché dividere.

Nel frattempo, ogni campagna elettorale è anche un’occasione per riflettere. Su chi siamo, su come scegliamo, su quanto siamo disposti a credere nel valore della rappresentanza locale.

Perché votare uno dei nostri non è un favore, né un atto di nepotismo. È una scelta politica, ma anche identitaria. È dire “ci siamo” alla Regione, è pretendere di contare qualcosa, è trasformare la fiducia in un’opportunità per tutta la comunità.

La prossima volta, quindi, quando entreremo nella cabina elettorale, forse potremmo chiederci: votare uno di noi… è davvero così inutile?

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