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La consuetudine chiede (a volte o forse), quando si parla di un libro o si tenta di recensirlo, di intrattenere un “ragionamento” partendo dall’inizio e argomentando il “filo” della narrazione o di creare uno schema. Non è questo che voglio fare, soprattutto trattandosi dell’autore in questione. Non ci sono schemi che tengano o teologie dei linguaggi quando a prendere il sopravvento è la magia della parole.

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La “strizza” della memoria, il tempo incancellabile che racchiude una conchiglia nel vento e il mare in uno sguardo. È da una vita che scrivo su di lui e recito le sue canzoni e leggo da anni più ravvicinato i suoi libri (sui quali ho sempre scritto di lui, del libro e di me).
Sì, perché quando un libro non parla anche di me io ormai non ne scrivo. Ho smesso di recensire per mestiere. Forse anche lui mi ha insegnato questo. La magia è un vocabolario dell’anima e non si crea per mestiere.
È appena uscito l’ultimo libro di Roberto Vecchioni. “La vita che si ama. Storie di felicità” (Einaudi). Incipit dell’ultimo capitolo: “Che c’eri quando tornavo o non tornavo e mi leggevi negli occhi… Che c’eri quando una ragazza o una ferita, un sorriso come un lampo o una nuvola nera stavano attraversandomi la vita”.

Lo scrittore si sente, si avverte, si percepisce, si ascolta e si vede. Già, si vede. Le parole e i linguaggi si vedono come se fossero specchio della propria esistenza. Racconti, storie, come dice il titolo, romanzo. Non esiste l’impossibile perché tutto è possibile quando nei nostri occhi la luce incontra la vita e la vita si fa esistenza.
Il sogno è luce: “E’ il sogno che rubi dal tuo sonno, il sogno che modelli, plasmi, fingi, che raccogli in pezzi; è l’istante prima che ha tutti gli istanti dopo ancora intatti, e, appena è, già fu ombra e tu gridi per uscirne ed essere di nuovo alla luce, perché questo sono gli uomini, urlo e sole, e tutto il resto è niente”(in “Viaggi del tempo immobile”).
“La vita che si ama” è su questa corda onirico – reale. Insomma c’è il raccontare di una vita in questo libro come anche nei precedenti con una favola antica che è quella dell’infanzia, della giovinezza, del padre, della madre, della famiglia, degli amici e dell’amore che incontra la morte e anche sfidandola l’amore vince sempre come ogni impossibile destino può diventare possibile speranza nell’attesa che tutto può essere raggiunto avendo fede nel Dio che illumina.

Ebbene, questo nuovissimo libro di Roberto, nell’incastro tra una prosa che ha una profonda liricità e dei versi che sono scavo nel sublime, mi riporta ad antichi silenzi che hanno voce. Dal raccontare del padre con la sua ironica venatura napoletana (molto inteso il racconto sul padre) alle sue esperienze di professore di latino e greco. Dal suo emozionarsi al sua Dante con l’avventura di Paolo e Francesca (e su Dante, Roberto gioca di fioretto sia in questo testo che nei suoi versi cantati, il Dante che incrocia gli occhi pungenti di Beatrice) sino alle due ultime pagine che sono nostre, di un vissuto condiviso come tutti i figli che non vedono la propria madre morire e la trovano già distante.
Mi appartiene, come gli altri suoi libri perché raccontano vita ed esistenze. Come mi sono appartenute quelle luci a San Siro o quell’uomo che si giocava il cielo a dadi, o come Milady o come mi manchi o come Euridice o come sogna ragazzo sogna che dedico a mio figlio Virgio insieme a figlio figlio figlio… giglio… o come il cielo capovolto, o come l’incanto della bellezza in una Venezia sulla grafica di Mann o di un anonimo veneziano o come quel bandolero stanco (che mia figlia Micol mi ha sempre dedicato) che mi riporta a mia madre perché nasce dal tango delle capinere e lei, mia madre, cantava con la sua voce flebile da una stanza all’altra ed io ragazzetto ascoltavo la sua voce, o come quelle rose blu…
Roberto mi ha formato e continuo ad ascoltarlo a leggerlo. Questo libro sembra disegnato sul mosaico della mia vita. Si legge in “Le parole non le portano le cicogne” (un altro suo libro di racconti): “Quella volta, ingenuo come un adolescente, credetti che fosse più difficile amare che essere amato. Ora so che non è così. Amare dà un potere senza confini che non conosce spaventi e ritirate; essere amati è un continuo bivio e raddoppia i sussulti e le tenerezze; hai sempre paura di sbagliare e ne esci battuto sempre, perché, per quanto tu riesca a dare, non colmi mai la misura”. E il mosaico prosegue con storie di felicità.

Non ti tolgo nulla, caro Roberto, me ne guarderei bene…e da quell’incontro nella terra di Lecce a metà degli anni Novanta ci siamo ritrovati tante altre volte nell’ascolto di malinconie e di incroci di esistenze e di vite e in quella serata ti chiesi di ricantare quella canzone che fa “Gli anni rimangono /silenziosi, leggeri, /stanno dove li metti /e si nascondono /negli odori, nei fogli, /nel wysky, nei cassetti /gli anni si impigliano /e si aggrovigliano //Vorrei parlarti /vorrei spiegarti /vorrei lasciarti/e poi cercarti…”. E tu mi chiedesti cosa mi legasse a questa canzone.
Ecco, caro Roberto, non ho parlato del tuo ultimo libro. In questo libro sei proprio tu, hai scritto nel retro. Vero. Perché condivido con te che “non si è felici nell’imperturbabilità. Ma nell’attraversamento del vento e della tempesta”. È come se lo avessi scritto io. Soprattutto quando mi dici: “C’eri alla malinconia e me la lasciavi senza dirmi niente, senza interferire.//C’eri alla cima del monte, all’acqua del mare, all’aprirsi del cielo.//E c’eri sempre anche quando non erano fatti tuoi, che non t’andava mai bene niente, e in tutta onestà un bel po’ di volte mi hai pure rotto, dolcemente, i coglioni./Ma c’eri sempre./E’ che io, io non c’ero, quando te ne sei andata”.
Vedi, caro Roberto, a volte ci si somiglia un po’… come canzone per Sergio o come in quel tuo ripetere che l’amore non finisce mai. Ed ora siamo qui, alla fine di questo mio scritto che non dice niente ma dice tutto per chi crede che il destino da impossibile può diventare possibile, forza per andare oltre e per chi come dici in “Il mercante di luce” che “non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro”.

Ma sì, bisogna ascoltarlo questo libro. Attraversarlo. Come la vita. Come le esistenze che si raccontano, come la bellezza che va vissuta sino all’ultimo istante. Come gli amore e l’amore. Con i figli che sono te me noi.

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