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«Egregio signor politico, quella che porgo alla Vostra attenzione è un’apologia. La scrivo per un caro amico e la leggerebbe egli stesso, se potesse, ma sembra che non tutti siano in grado di comprendere la sua lingua, altrimenti la sua esistenza non sarebbe sospesa a un filo. » Comincia così la lettera aperta di Azzurra Convertino, una studentessa dell’ISSM “Paisiello” di Taranto. La lettera è indirizzata ai politici e segnala la situazione di costante precarietà dell’istituto che – come afferma la scrivente – vive una situazione che vedrà una risoluzione, forse drammatica, l’1 settembre.

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La lettera – afferma Azzurra Convertino – è condivisa da tutti i 500 studenti e 69 docenti del “Paisiello”, e così si rivolge ai politici destinatari: «Potrete perciò considerarmi un logografo o, se più vi aggrada, un avvocato, ma se anche fossi l’avvocato del diavolo, non riuscirei a difendere il mio assistito. Il suo nome è Istituto Superiore di Studi Musicali “Giovanni Paisiello” di Taranto. La ghigliottina è ormai pronta sulla sua testa, con la lama poco affilata cosicché la decapitazione sia più dolorosa. Strano sadismo, signor politico! La sua condanna non è ancora stata emessa. Ed io, e noi, studenti, professori siamo in attesa di scoprire la sua sorte che è la nostra sorte. Ma in ogni modo prolungano la sofferenza. Date su date si affastellano. Un continuo rinvio a giudizio. Ci promettono che lo salveranno. Ce lo promettono mentre il boia s’infila il cappuccio. Ultimo desiderio del condannato a morte: un umile La per accordare gli strumenti affinché lo seguano in marcia funebre fino al Duomo. Lì saranno lasciate le spoglie della defunta civiltà, venuta a mancare per l’assassinio della cultura. Lottiamo con le ultime forze prima della stoccata finale, per salvarlo. Ma per quanto ancora dovremo schivare i fendenti di una spada imbevuta di veleno? Come se di veleno non ne avessimo già abbastanza. Ma ci pensi, signor politico. Che cosa lascerete a noi giovani a Taranto? Senza cultura, solo morti e malati. E neppure un po’ di musica per consolarli. E non mi accusi di essere pessimista perché ho creduto fin troppo in questa città e mi ha sempre, puntualmente, delusa. La salute non è uno scherzo e neppure la cultura, ma pare che lei, signor politico, abbia un pessimo senso dell’umorismo! C’è un silenzio sbagliato che avvolge i nostri giorni di attesa. Una lenta e sottile incrinatura che ci stringe. Una monodica corda che batte. Tamburellante come il suono della troccola che guida i perdoni, il Venerdì Santo . Un archetto che scorre stridulo sulla corda sbagliata. Una corda spezzata, lacerata.

Ma lei –  prosegue la lettera aperta di Azzurra Convertino – per caso immagina com’è sostenere un esame di ammissione? No, io credo che lei non lo sappia.
Si figuri l’attesa sotto il porticato dell’ex Convento San Michele. Le mani che diventano fredde per l’ansia , la concentrazione. E noi ragazzini l’uno di fronte all’altro a guardarci con gli occhi grandi d’inquietudine, aspettando che il nostro nome venga pronunciato. E dopo essere stati ammessi, ci ritroviamo anno dopo anno nella stessa situazione, l’uno di fronte all’altro , ancora in attesa per altri esami, ancora davanti a quella porta, ma volta per volta sempre più uniti, sempre più vicini, ripetendo insieme, studiando in gruppo, aiutandoci a vicenda.
Avevo 10 anni. Ora ne ho 20. Dieci anni di sacrifici. Di corse dalla scuola al conservatorio perché non c’era tempo tra una lezione e l’altra. Di studio intenso, di vittorie e di sconfitte .
E quanti come me sono cresciuti in quella scuola sono diventati la mia famiglia. Di alcuni non so neanche i nomi, ma li conosco. Li conosco perché, come dice un caro Maestro, “Per capire un uomo basta ascoltare la sua musica”.
La musica è molto di più di quello che lei crede, signor politico.
Per esempio un insegnante di pianoforte non è solo un Maestro, è anche un padre, una madre, un amico e un giudice severo. Deve indagare nel suo alunno i punti forti e combattere i lati deboli, capire le sue paure, trasformarle. Un Maestro sa quando può chiedere di più al suo studente e quando deve accontentarsi. Deve studiare la sua mano per impostarla tecnicamente.
Noi li conosciamo tutti i professori della scuola, uno per uno. E tutti gli uscieri e i segretari e le mattonelle che scricchiolano e i soffitti dipinti del D’Ayala.
Una famiglia, la nostra, con le sue gioie e i suoi rancori. Il mio primo amore, signor politico? Se proprio lo vuole sapere, il mio primo amore l’ ho conosciuto a casa del mio amico “Paisiello”. In quella casa conserviamo tutti una parte di noi troppo grande per lasciarla abbandonata come tanti altri palazzi di Taranto. Ma lei sa cosa vuol dire varcare la soglia del conservatorio e sentire quel concerto di flauti e pianoforti e batterie e clarinetti che suonano brani diversi, con le melodie che si accavallano e si scontrano fra loro, perché le stanze non sono insonorizzate? Ma che importa? Ho imparato ad amare anche quello. E’ il paradiso! L’Eden doveva avere la porta nera del “Paisiello” e i suoni caldi dei suoi strumenti, non può essere altrimenti. Ma anche dall’Eden siamo stati banditi. Peccato originale, mi dicono. Questo è peccato di accidia, vi dico, di chi avrebbe potuto salvare il “Paisiello”, ma se n’è lavato le mani.

Ma lei riesce solo a immaginare le notti insonni prima dei concerti? Lei sa cosa vuol dire studiare ore interminabili ogni giorno per conquistare terreno nel difficile campo della tecnica? E terrorizzarsi al primo cedimento della mano, temendo che si tratti di una tendinite? O eseguire mille volte un rigo alla ricerca del suono giusto, dell’intenzione adatta, dell’atmosfera perfetta? No, signor politico forse lei davvero non lo sa altrimenti avrebbe impedito il declino del “Paisiello”. Lei ha consentito l’esodo di insegnanti e alunni virtuosi, concertisti internazionali, in fuga da questa situazione precaria. Se solo avesse capito che la nostra è molto più che una semplice scuola e che per gli alunni non basta cambiare conservatorio per risolvere la situazione. Perché gli altri istituti sono troppo lontani (le rammento l’articolo 34 della Costituzione “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”); perché il lavoro fatto con l’insegnante deve essere continuativo, non si può spezzare; perché sono nati dei progetti in questa scuola, orchestre e collaborazioni che non possono essere stroncati. Ma lei non sa davvero cosa sia la musica. Non è così, signor politico? Lo chieda a quel ragazzo cos’è la musica. Quel ragazzo sulla sedia a rotelle che non può parlare, che non può camminare, che non può scrivere, che non può correre, ma sorride. Sorride quando sente suonare il suo amato Chopin. A quel ragazzo brillano gli occhi quando il direttore d’orchestra alza la bacchetta.
Signor politico, mi faccia un favore, dica lei a quel ragazzo che non potrà più ascoltare la musica delle nostre lezioni.
Dica ai nostri genitori, che hanno azzardato nell’investire il loro stipendio e il loro tempo nel nostro futuro da musicisti, che la loro è stata una scelta sciocca, dall’esito prevedibile.
E dica anche ai docenti, la prego, che perderanno il lavoro. Dica che una vita di sacrifici è stata vana perché la musica NON produce ricchezza.

Le spiego io a cosa serve la musica, signor politico, ascolti bene.
“E’ il 15 gennaio 1941. Tra i fumi cinerei dei campi di concentramento Olivier Messiaen compone “Quatuor pour la fin du Temps” e quando lo suona tra gli internati un prigioniero si alza e dice:<>.”

E ora lei vorrebbe gettare al vento quasi 90 anni di storia insieme al futuro di 500 studenti.
Datemi un pianoforte per piangere sulla sua schiena nera tutta la mia desolazione.

Andrò via presto da questa terra perché la lotta è impari. E nessuno mi dica che non ho avuto il coraggio di restare, non ditemelo perché di coraggio ne ho avuto fin troppo. Datemi semmai un’ ultima speranza. Datemi un motivo per credervi quando dite “resta qui”. Lasciatemi qualcosa in cui credere, qualcuno in cui avere fiducia. Perché non posso vivere nella terra che amo? Perché mi esiliate? Lasciatemi sentire ancora il profumo salato del mare.

La immagino già così via Duomo, svuotata – conclude la lettera aperta di Azzurra Convertino. E la immagino così Taranto, zittita, attonita davanti all’attesa estenuante del condannato a morte. La lascio ad un’ ultima riflessione, mio caro signor politico. Quando di Taranto non sarà rimasta che la polvere delle sue rovine, non avrete il diritto di accusare noi giovani. Perché in quei giorni di fuoco i giovani stavano scioperando, stavano protestando, avevano dato l’anima per i loro sogni, quel giorno i giovani avevano scritto una lettera. E voi, signor politico, eravate pronti a stracciarla, senza neppure leggerla

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