A Milano, nell’ambito del “Milk World Day” promosso dalla FAO, Coldiretti ha presentato al premier Matteo Renzi lo studio intitolato “Il latte italiano, un primato da difendere”.
Ricevendo come riposta l’annuncio del decreto interministeriale con il quale si obbligano i produttori a indicare in etichetta la provenienza del latte e dei derivati come formaggi o yogurt. «Un risultato storico per gli allevatori – il commento di Roberto Moncalvo, presidente nazionale di Coldiretti –, ma anche per i consumatori che nella metà dei casi sono disposti a pagare il vero “made in Italy” alimentare fino al 20% in più, con un 12% disposto a spendere ancora di più per avere la garanzia dell’origine nazionale».
Per la Puglia, e in particolare per la provincia di Taranto, questo decreto ha un forte significato. Perché in regione, a fronte dei 1.939 allevamenti che producono 3,6 milioni di quintali di latte bovino, le importazioni di latte dall’estero raggiungono i 2,7 milioni di quintali e i 35mila quintali di prodotti semilavorati quali cagliate, caseine, caseinati e altro, utilizzati per fare prodotti lattiero-caseari che vengono, poi, venduti come prodotti “made in Puglia”. «I nostri allevamenti versano in una grave situazione – la denuncia del presidente di Coldiretti Taranto Alfonso Cavallo – per colpa del prezzo del latte troppo basso e di queste importazioni. Abbiamo chiuso già metà delle nostre stalle, in provincia, mentre l’Italia è il più grande importatore di latte del mondo: questo paradosso deve essere eliminato, speriamo che l’iniziativa del Governo possa incidere in tal senso».
Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. «Come rilevato dal presidente Cavallo – ha aggiunto il direttore di Coldiretti Taranto, Aldo Raffaele De Sario – sono riuscite a sopravvivere con grande difficoltà in Puglia appena 2.700 stalle. La vera e unica indicizzazione di cui il comparto zootecnico ha bisogno è il vincolo indissolubile tra il prezzo del latte alla stalla e il costo di latte e formaggi che i consumatori acquistano nei negozi e nei supermercati».
Etichettatura e prezzo, quindi, sono discriminanti per far ripartire un settore trainante dell’economia locale. L’arco della Murgia ionica, storicamente culla di allevamenti di eccellenza, sta perdendo questa vocazione e nel contempo l’opera di preservazione compiuta dagli allevatori nei confronti dei territori finirebbe per esaurirsi.
«I nostri produttori sono protagonisti della tutela del territorio e del suo valore ambientale – ha aggiunto Cavallo – in una provincia già troppo martoriata. La nostra meravigliosa Murgia necessita assolutamente di una zootecnia viva, determinante per la sua crescita economica, sociale e culturale. Dobbiamo quindi impedire che il settore subisca anche le angherie di un mercato “drogato” dopo aver subito quelle dell’inquinamento.
Restituiamo alle nostre produzioni la loro tipicità, preserviamola sostenendo interventi come quello messo in campo dal Governo: è la strada segnata che dobbiamo battere fino in fondo, se vogliamo uscire dalla crisi».