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«All’indomani della discussione tra il sottoscritto e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano che si è tenuta a palazzo di città durante la conferenza stampa sugli emendamenti presentati al decreto legge 5 gennaio 2015, credo sia necessario un momento di riflessione al fine di fare chiarezza.» Lo dichiara Giancarlo Cito, già Sindaco di Taranto, che aggiunge: «Ferma restando l’importanza della celerità delle risposte da parte del governo alla situazione esplosiva che vive la città, ritengo che la cittadinanza ma i lavoratori diretti e dell’indotto dell’Ilva, in particolare, abbiano il diritto sacrosanto di conoscere la verità.

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La discussione col sindaco Stefano – ricorda Giancarlo Cito – è nata dall’aver sentito delle inesattezze relative alla tempistica dell’approvazione degli emendamenti, che costituirebbero una boccata d’ossigeno per le imprese dell’indotto. Ebbene il primo cittadino ha parlato di approvazione degli emendamenti entro 45 giorni. È su questo punto che ho voluto controbattere spiegando come giuridicamente sia inesatto.

Chiariamo una volta per tutte che il decreto deve essere approvato in sessanta giorni dai due rami del Parlamento e che l’iter degli emendamenti prevede il passaggio dalla Commissione al Senato, poi alla Camera in commissione e poi in aula. Insomma, come si fa ad affermare che entro 45 giorni si avrà l’approvazione?

Capisco la necessità in questo delicato momento di voler allentare le tensioni sociali, di voler sedare gli animi dei lavoratori già esacerbate, evitando problemi di ordine pubblico, ma i tempi della legge sono quelli appena detti.
Le imprese dell’indotto saranno costrette ad aspettare ancora prima di poter entrare in possesso dei crediti che vantano nei confronti dell’Ilva.

Dare delle notizie che potrebbero illudere i lavoratori non mi sembra corretto. Non dico che il sindaco abbia voluto farlo con questo scopo, ma forse per ignoranza della materia giuridica.

A me –conclude Giancarlo Cito – quel che interessa è che non si speculi in alcun modo sulle sofferenze di imprenditori e dipendenti. Non si può e non si deve giocare sulla pelle della gente!»

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