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Dopo un terremoto, uno tsunami, una catastrofe molti osservano sgomenti il paesaggio e vedono solo rottami e distruzione. Pochi, lucidi e forse visionari, scorgono tra le macerie i semi di una possibile rinascita futura e la traccia per evitare di ripetere gli errori del passato.

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Alessandro Leogrande è uno dei tanti giovani tarantini che ha vissuto con il capoluogo ionico un legame difficile da spiegare a chi non sia nato e cresciuto tra il ponte di pietra e quello tra Punta Penna e Pizzone; un legame fatto di studi fuori città, di lavoro fuori regione ma con la residenza ostinatamente, irrazionalmente, scomodamente mantenuta a Taranto.

“Cronache dal fronte meridionale”

A Taranto Legorande ha dedicato numerosi articoli, raccolti in “Dalle Macerie” edito da Feltrinelli con la prefazione di Goffredo Fofi ed un sottotitolo lampante: “Cronache dal fronte meridionale” per ricordare che la Città dei due Mari non è un unicuum a se stante ma piuttosto rappresenta il simbolo emblematico di una “questione meridionale che deve archiviare le soluzioni fallimentari del secolo scorso per cercare una nuova strada verso un futuro che doveva già essere presente.

E che il capoluogo ionico sia stato il fronte di guerre più o meno dichiarate è ben raccontato in questi articoli, suddivisi in alcune tematiche comune; c’è la guerra in cui in capo c’era da una parte Giancarlo Cito e dall’altra una classe politica imbelle e ignava, incapace di contrapporsi ad una propaganda fatta di slogan, manganelli, offese e malesseri atavici.

C’è la battaglia per dare un nuovo futuro alla città vecchia, che qualcuno voleva frettolosamente e forse non del tutto disinteressatamente radere al suolo, c’è lo scontro semisecolare con l’industria ed il dilemma assurdo tra lavoro e salute, ci sono le scaramucce che testimoniamo la tarantinità, il “cemenefuttismo, l’anacronismo delle processioni della Settimana Santa e la grande occasione rappresentata dal Museo Archeologico, dal porto e dal passato millenario della città.

Ciò che poteva essere e non è stato

Leogrande racconta in uno dei suoi articoli la storia di Erasmo Iacovone, morto troppo presto per realizzare i suoi sogni e per raggiungere i traguardi che erano alla sua portata; anche Alessandro è mancato troppo presto ed anche da quanto ci ha lasciato è facile intuire dove sarebbe potuto arrivare con la sua capacità analitica, il suo sguardo privo di ipocrisia e la sua lungimiranza animata da passione sociale.

Li dove in tanti vedevano macerie, Leogrande scorgeva una possibilità di rinascita, una occasione di futuro, una chance di speranza guidata da una logica che lo portava ad analizzare e scartare le soluzioni troppo facili per essere fattibili quando si parlava di uno stabilimento ecocompatibile così come a guardare con perplessità l’accoppiata Taranto – Sparta che rischiava (e rischia!) di essere l’ennesima occasione perduta abbagliata da un passato più fumettistico che reale.

E’ dall’analisi delle macerie che si possono comprendere le cause di un disastro e i modi per evitare che si ripeta, e nonostante la sua giovane età Leogrande non si sottrae ad una impresa da far tremare i polsi, citando spesso e volentieri i tanti che al “fenomeno Taranto” hanno dedicato attenzione.

Dall’analisi alla proposta

Troppo facile curare i sintomi senza affrontare le cause, troppo semplice relegare il “citismo” alla capacità istrionica del singolo, troppo banale condannare l’Italsider prima e l’Ilva poi senza approfondire come e perché tutto ciò sia avvenuto, troppo superficiale voler pensare che il borgo antico di Taranto, il suo cuore pulsante, possa oggi trasformarsi “tout court” in attrazione turistica senza chiedersi come possa essere vivibile per i residenti.

Leogrande espone i problemi e propone soluzioni, sempre consapevole che situazioni complesse non permettono azioni semplici ma altrettanto cosciente che ciascuno può e deve dare il suo contributo, a partire da una borghesia intellettuale che troppe volte a Taranto ha taciuto per comodità e tornaconto personale.

Leggere oggi quanto scritto vent’anni fa, essere dolorosamente consapevoli che alcuni problemi erano già sul tavolo allora e che poco o nulla si è fatto per cominciare a risolverli da una parte intristisce e fa arrabbiare, dall’altra ci sprona – ciascuno nel suo ruolo – a non darsi per vinti ed a continuare questa lotta civile e democratica perché Taranto rinasca dalle sue macerie, abbia il futuro che si merita ed onori la memoria di chi, come Alessandro Leogrande, l’ha amata anche e nonostante i suoi tanti difetti.

Alessandro Leogrande è stato un grande intellettuale del nostro tempo. Ha scritto per lottare contro le frontiere e i naufragi, il caporalato e l’ignoranza, la malafede e le ingiustizie. Questo volume raccoglie tutto il lavoro che ha dedicato a Taranto, la sua città. Una città perfetta, come l’ha definita Pasolini nel 1959. Taranto nuova, Taranto vecchia e intorno i due mari.
“Il centro siderurgico costò quasi quattrocento miliardi di lire. Finì con l’occupare prima 600 e poi 1500 ettari di superficie, per un’estensione pari al doppio dell’intera città. Da quel momento in poi fu la città a crescere e modellarsi intorno alla fabbrica. Furono i tempi e i ritmi della fabbrica a scandire i tempi e i ritmi del tessuto urbano.”
Una città che oggi è anche il dormitorio degli operai dell’Ilva, la cattedrale nel deserto che fa dei suoi lavoratori le cavie di nuovi rapporti di lavoro, nei quali la frattura sociale si allarga, mentre i diritti sono sempre più difficili da difendere.
“Che la fabbrica resti al suo posto o venga chiusa,” ha scritto Leogrande, “che venga svenduta a una cordata italiana o a qualche multinazionale asiatica in ascesa, Taranto deve comunque uscire dalla ‘monocultura siderurgica’ che nell’ultimo mezzo secolo non ha fatto altro che alimentarsi dalle sue stesse viscere.”

“Solo il racconto dei margini e dei frammenti permette di aprire uno squarcio e di comprendere qualcosa. Comprendere come si intersecano tra loro cose vecchie e cose nuove.”

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