foto Repertorio
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Non passa giorno che la situazione della seconda ondata dell’epidemia di Covid-19 evidenzi luci ed ombre di come le istituzioni in genere ed il servizio sanitario nazionale in particolare stiano affrontando questa pandemia.

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Un impegno sul campo vanificato da una macchina lenta

A fronte dell’impegno di migliaia di operatori sanitari, che lottano contro gli effetti del virus mettendo in campo tutte le loro risorse fisiche, psicologiche ed emotive, tanti cittadini si scontrano con le lungaggini e l’ottusità di una burocrazia ancora incapace di affrontare in maniera efficace ed efficiente l’attacco sferrato alla nostra quotidianità dal Covid-19. Se è vero che la scorsa primavera non sapevamo praticamente nulla del virus e potevano essere comprensibili repentini cambi di strategia, ad oggi, a quasi un anno dall’inizio dall’emergenza, ci si attenderebbe che le procedure di base abbiano trovato una certa standardizzazione e – almeno in quelle che dovrebbero essere le attività di base – una procedura rodata che permetta di eseguirle in maniera rapida.

Purtroppo così non pare essere, e quella che dovrebbe essere la prima e – per certi aspetti – più importante attività, ovvero il tracciamento dei contatti personali dei positivi e la verifica dei soggetti a rischio al fine di rilevare immediatamente eventuali contagi per interrompere la catena di trasmissione, sembra essere tragicamente crollata, incapace di fare fronte ai numeri che implacabilmente aumentano giorno per giorno.

Raccontiamo due esempi emblematici, che rappresentano purtroppo la tragica normalità con cui ogni giorno migliaia di cittadini si devono rapportare. I nomi che citeremo sono di fantasia, le vicende – invece – sono desolatamente reali.

Dopo due settimane dal tampone, ancora nessun risultato

Fulvio deve sottoporsi ad un intervento chirurgico d’urgenza, programmato per il 29 ottobre dopo pochi giorni dalla diagnosi. Il giorno prima si sottopone al tampone e gli viene consegnato un foglio con le istruzioni per recuperare l’esito delle analisi in cui si legge che i risultati saranno disponibili sul sito di PugliaSalute dopo 36 ore dal prelievo e, comunque, entro le 72 ore successive al prelievo stesso. Qualora l’esito non risulti disponibile dopo tre giorni dal prelievo, si dovrà contattare il Dipartimento di Prevenzione della Asl.

Fulvio esegue regolarmente il suo intervento e torna a casa per il periodo di convalescenza; attende 36 ore ma niente risultato. Attende le 72 ore e ancora niente. A 15 giorni dal prelievo il sito PgliaSalute restituisce sempre la stessa risposta: “L’informazione richiesta non è ancora disponibile. Si invita a riprovare nei prossimi giorni”. Il numero di telefono del Dipartimento di Prevenzione della Asl è perennemente occupato, a qualunque ora si provi a chiamare, e quando non è occupato squilla a vuoto senza che nessuno risponda.

Ora, Fulvio è a casa senza sintomi ed il tampone è – in questo caso – più una precauzione per i medici ed i sanitari che lo hanno operato e lo seguiranno nella sua convalescenza; ma quanti Fulvio ci sono che hanno avuto contatti con soggetti positivi, che hanno sintomi più o meno gravi e che sono costretti a casa in un limbo angosciante senza poter conoscere il loro reale stato di salute, senza sapere se costituiscono un pericolo per i familiari con cui vivono?

Lunghe attese per potersi sottoporre all’esame

Passiamo ad un’altra storia: Gianna lavora in un esercizio commerciale e vive con i suoi fratelli e con la madre, sanitaria presso una struttura. Dopo aver evidenziato alcuni sintomi, a seguito di esame specifico la madre di Gianna risulta positiva al Covid-19 e per lei ed i suoi familiari scatta l’isolamento domiciliare, anche se nessuno di loro ha sintomi riconducibili al Coronavirus.

Gianna, preoccupata per la sua salute e quella dei suoi colleghi di lavoro, comincia la trafila per chiedere di essere sottoposta a tampone di controllo, ottenendo come risposta una prenotazione per un esame da eseguire sedici giorni dopo. Per due settimane anche Gianna dovrà rimanere a casa, rinunciare al lavoro, avere il dubbio di aver infettato i colleghi, temere per la propria salute, preoccuparsi per ogni minimo colpo di tosse con la consapevolezza che – una volta eseguito il tampone – e, chissà quando (altre due settimane? Forse di più?), ottenuto il referto, questo sarà oramai inutile e anacronistico.

Abbiamo raccontato solo due episodi dei tanti di cui giornalmente veniamo a conoscenza diretta e non per sentito dire, due episodi a loro modo emblematici di come tanti cittadini si ritrovino soli e smarriti di fronte ad una epidemia che rischia di travolgere vite, progetti e speranze e che dimostra, aldilà di ogni possibile attenuante, che – parafrasando De Andrè – chi doveva agire lo ha fatto in un modo che si può definire “se non del tutto sbagliato, quasi per niente giusto”.

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