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Come oramai quasi tutti sanno, il 27 gennaio si celebra in molte nazioni la “Giornata della memoria” in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. Una data ancora poco conosciuta, ma che ricorda un orrore inferiore solo nei numeri ma pari nella ferocia a quello della Shoah è quella del 10 febbraio, “Giorno del ricordo”, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, chein Italia celebra la memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.

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Si tratta di una tragedia a lungo taciuta e quasi negata, che coinvolse più o meno direttamente centinaia di migliaia di italiani nell’immediato dopoguerra, colpevoli solo di essere tali in una terra come quella istriana e giuliano-dalmata, contesa da quella che allora era la Iugoslavia di Tito. A distanza di più di mezzo secolo molte ferite sono ancora aperte, e solo da pochissimo si sono compiuti dei passi decisi verso la riconciliazione ed il superamento di questa tragedia.

Se la Shoah vide la realizzazione di un progetto di sterminio lucido e razionale, il fenomeno dell’infoibamento fu invece una delle più crude dimostrazioni della bestialità umana, che colpì cittadini inermi massacrati, torturati e spesso gettati ancora vivi nelle foibe, cavità naturali profonde sino a 200 metri, caratteristiche delle zone carsiche del territorio intorno Trieste.

Si trattò di una vera e propria “pulizia etnica”, che sconvolse i territori istriani a partire dall’armistizio del settembre 1943 e fino al 1947, periodo in cui i partigiani iugoslavi dell’esercito agli ordini del maresciallo Tito rastrellarono, torturarono e massacrarono migliaia di italiani, senza distinzione di età, sesso e orientamento politico. Tragedia nella tragedia, altre migliaia di istriani diedero vita ad un vero e proprio esodo di massa per sfuggire allo sterminio, il molo di Trieste divenne la partenza per un viaggio senza ritorno di povera gente che portò con sé solo la propria vita e i vestiti che indossava, e che trovò, in Italia, un trattamento solo di poco ostile e offensivo.

Per lunghissimi anni i profughi istriani furono “ospitati” in condizioni disumane in campi di raccolta presenti in quasi tutta Italia, isolati e guardati con sospetto dalle popolazioni del circondario; popolo senza più patria, respinto – quando non perseguitato – anche dai connazionali, “colpevoli” di essere profughi e di parlare un altro dialetto.

Le vicende politiche del dopoguerra stesero una cappa di colpevole silenzio su questa immane tragedia nazionale, di cui ancora non sono state stabilite le cifre esatte delle vittime. I morti e i profughi “scomparvero” dalla memoria nazionale, divennero una scomoda storia da minimizzare e confinare nell’oblio della memoria. Oggi che la maggior parte di coloro che vissero quell’orrore non ci sono più, tocca a noi tutti il dovere di restituire alla Storia il ricordo di questo orrore per non dimenticare e per far si che mai più il fratello alzi la mano contro il fratello.

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