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Una vera e propria “bancarotta delle regole” quella emersa dalla vicenda del Mose. Lo sottolinea il WWF all’indomani dello scandalo che ha travolto una delle opere più discusse: il sistema delle dighe mobili che dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta, il Mose.

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Il sistema Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico) per la difesa di Venezia e della laguna dalle acque alte è costituito da una serie di paratoie mobili a scomparsa poste in corrispondenza delle bocche di porto di Lido, di Malamocco e di Chioggia che collegano la laguna con il mare e attraverso i quali si svolge il flusso e riflusso della marea.

Il Mose doveva essere in grado di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea, è stato progettato per proteggere Venezia e la laguna da maree fino a 3 metri e attualmente la sua entrata in funzione è prevista per maree superiori a 110 cm.

Proprio il fatto che il Mose entri in funzione per maree solamente sopra i 110 cm, oltre che confermare che Piazza San Marco (il simbolo di Venezia) oggi a quota 60 cm slm con le alte maree sarà sempre allagata, permette di valutare i dati del Centro Previsioni e Segnalazioni Maree, sul rilevamento delle massime di marea >=+80 rilevate in località Punta della Salute negli ultimi dieci anni, rendendo evidente il fatto che se il Mose fosse stato in funzione nelle annate 2003-2012, anche se Piazza San Marco e le altre aree fossero state con la pavimentazione rialzata dagli attuali 60 cm agli 80, sarebbe stata comunque allagata per ben 1.088 volte, ed è quello che più o meno comunque succederà anche con l’entrata in funzione del Mose.

E’ dal 2003 che il MoSE è stato autorizzato in deroga alle normative sulle valutazioni ambientali e alle regole sui lavori pubblici, grazie alla regia del comitato istituito dalla Legge speciale su Venezia che era nata per proteggere la Laguna” commenta Stefano Lenzi, responsabile relazioni istituzionali del WWF: “Si è affidata, senza gara, al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico, la realizzazione di un’opera il cui costo negli anni è più che triplicato (il progetto di massima del 2001 era di 1,5 miliardi di euro, mentre oggi supera i 5,4 miliardi di euro) scegliendo un progetto senza fare la Valutazione di Impatto Ambientale – che avrebbe consentito la comparazione delle alternative a minor costo ambientale, economico e sociale – e violando le normative europee a tutela della biodiversità, arrecando “danni ai valori ecologici della Laguna” .

Secondo il WWF la vicenda del MoSE è la testimonianza plateale che le corsie preferenziali per le infrastrutture strategiche e le leggi speciali in deroga alla normativa ordinaria inducono regimi straordinari che portano a questi risultati.

E’ necessario ricondurre opere e appalti alla normalità delle procedure amministrative nella selezione, realizzazione e controllo dei progetti. Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ricorda che:

1. il 3 aprile 2003 con un a Delibera del Comitatone, che faceva riferimento a precedenti decisioni del Consiglio dei Ministri, fu chiusa la procedura di VIA con un giudizio positivo, di carattere politico, senza che ci fosse alcun vaglio in sede tecnica delle possibili alternative;
2. nel 2009 la DG Ambiente della Commissione Europea decise, dopo grandi pressioni da parte del Governo italiano di chiudere la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per violazione della Direttive Habitat e Uccelli, pur ammettendo che le disposizioni della Direttiva Habitat sono state violate dalle Autorità italiane”.
3. sempre nel 2009, nelle Conclusioni della Indagine della Corte dei Conti si censurava la mancata redazione del progetto esecutivo generale del Sistema MoSE e l’esistenza di oltre 150 stralci esecutivi, denunciando come ciò comportasse l’assenza di una generale pianificazione tecnico-economica.

“Non poteva che finire così, come per la stragrande maggioranza delle grandi opere italiane, spesso progettate malissimo, senza che siano valutate le ricadute sull’ambiente e senza che siano accompagnate da piani economico-finanziari che consentano di valutare se i costi di realizzazione, gestione e manutenzione siano congrui”, conclude il WWF.

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