Grottaglie
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Come abbiamo anticipato nell’episodio dedicato alla storia della famiglia Cicinelli, l’800 si apre con l’abolizione della feudalità a Grottaglie. Un modello durato secoli, che aveva pervaso ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica, viene cancellato quasi istantaneamente causando, come è facile immaginare, un vero e proprio choc, tanto negli strati più ricchi che in quelli più umili della popolazione e – purtroppo – diventando a volte un comodo pretesto per alimentare violenze, ruberie e ulteriori ingiustizie.

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Una legge francese a Grottaglie

Le leggi che abolirono la feudalità vennero attuate tra il 1806 e il 1808, per iniziativa di Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone. Fu lui ad abolire la feudalità nel Regno di Napoli durante il cosiddetto Decennio francese.

La legge n. 130 del 2 agosto 1806, al primo articolo recitava: “La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili” e già da queste righe possiamo cogliere l’emergere di un primo problema.

Se infatti, questo provvedimento poteva rispondere ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture sociopolitiche, dall’altra parte si poneva il problema della ricognizione dei beni demaniali, molti dei quali erano stati usurpati nel corso dei secoli o vedevano un conflitto di attribuzione plurisecolare, come accadeva nel dissidio tra la mensa arcivescovile di Taranto ed i baroni di Grottaglie.

Bisognava inoltre considerare che sui beni feudali coesistevano anche gli antichi e consolidati diritti delle popolazioni locali, come nel caso – sempre per citare un esempio a noi vicino – dello sfruttamento della foresta tra Grottaglie e Martina Franca.

Ci fu quindi il riconoscimento degli usi civici in base al principio “ubi feuda, ibi demania”, che si affermò soprattutto nel XVIII secolo nel regno di Napoli, dove diversi giuristi operarono per valorizzare e tutelare i diritti delle popolazioni sui feudi, attraverso la costruzione giurisprudenziale dell’uso civico, in modo da controbilanciare la preponderanza (e, spesso, la prepotenza) della classe baronale.

La proprietà feudale, infatti, non era una proprietà piena, perché coesisteva con antichi diritti delle popolazioni locali: i più diffusi erano il pascolo e il legnatico, che coprivano le esigenze elementari della popolazione rurale, soprattutto delle classi più umili, che spesso avevano in questi diritti uno dei pochi – se non gli unici – modi per assicurarsi una dignitosa sopravvivenza.

Le vicende a Grottaglie

Una sorta di anteprima di quanto sarebbe avvenuto agli inizi dell’800 si ebbe a Grottaglie qualche decennio prima, quando l’arcivescovo di Taranto, Giuseppe Capecelatro, nel 1781 concesse ai Cicinelli – Caracciolo in fitto perpetuo il territorio della foresta, cedendo anche tutti i diritti feudali.

Intanto, la legge napoleonica del 1809 aveva abolito gli ordini religiosi e i loro beni vennero incamerati dal demanio; chiese e conventi vennero depredati, e la stessa sorte subirono ricche masserie e palazzi nobiliari; nel passaggio più di qualcosa si perse per sempre, altro prese la via d’oltralpe verso la Francia, come racconta una delle ipotesi sulla origine del simbolo del gallo grottagliese, altro ancora cadde in rovina, abbandonato o adibito ad altri usi: i conventi divennero caserme, le chiese stalle e depositi, ma le tasse continuarono ad affliggere soprattutto i più poveri.

Come si usa dire in questi casi, il vento stava cambiando e lo sconvolgimento portato dalla Rivoluzione francese si apprestava a giungere anche in Italia; gli “alberi della libertà” venivano eretti nelle piazze principali di molte città e proteste e malumori spesso sfociavano in veri e propri tumulti, costringendo molti a scelte di vita drammatiche e radicali, come avverrà con il controverso fenomeno del brigantaggio.

Furono anni di sogni e illusioni, di riforme sperate e spesso tradite; anni in cui – gattopardescamente – molto sembrò cambiare mentre tanto rimase nelle mani dei soliti pochi. Furono gli anni di Papa Giro e di Pizzichicchio, briganti sanguinari per alcuni, martiri patrioti per altri, che non lesinarono violenze e uccisioni.

Uno dei motivi che scatenò proteste e ribellioni fu la istituzione della leva militare da parte delle autorità italiane. Mentre nel periodo borbonico il servizio militare era facoltativo, i Savoia lo vollero rendere obbligatorio e questo comportò il timore, da parte della popolazione, di perdere il contributo dei giovani e degli adulti alla economia locale, destinati come erano a servire in armi uno Stato sconosciuto ai più e che certo non contribuiva ad alleviare condizioni di vita assai tristi.

A Grottaglie le proteste vennero spente con la forza militare, ed il risultato fu di due morti e una decina di feriti; la misura era colma e quando il 17 novembre 1862, Pizzichicchio e la sua banda arrivò alle porte di Grottaglie, venne accolto da una popolazione in festa. I briganti travolsero la debole resistenza dei carabinieri e dopo aver abbattuto lo stemma sabaudo, si impossessarono di armi, cavalli e muli, liberarono i carcerati e razziarono case e negozi di chi – a torto o a ragione – era considerato a favore del nuovo governo. La risposta, come detto, non tarò ad arrivare, e non fu certo più clemente di coloro che volle punire, ma questa è una delle tante storie che meriterà in futuro un episodio tutto suo.

Arriva il nuovo secolo

L’800 si avvia alla fine, e nel 1860 si compie l’unità italiana, immortalata dalla forse cinica ma certamente realistica affermazione attribuita a Massimo D’Azelio.

Grottaglie dà il suo contributo con Ciro De Santis, che fu garibaldino ed alla causa sacrificò la sua salute senza forse ricevere sufficiente merito dai suoi contemporanei. Inabile al lavoro per ferite alla gamba e cecità quasi assoluta, si vide riconoscere una piccola pensione dal governo cittadino ma – anche a lui – non risulta che alcuno abbia voluto erigere una statua o dedicare una via.

Il ‘900 porta con sé speranze di progresso e perniciosi rifiuti del passato; Grottaglie – come tante altre città si modernizza ma colpevolmente cancella le tracce del suo glorioso passato. Si abbattono le mura e scompare Porta Sant’Angelo, quella verso Taranto; si modernizza la chiesa matrice vituperando oltre mezzo millennio di storia e perdendo per sempre il soffitto di legno con le tele del 1674, il pergamo del 1505, antichi affreschi del XIV° secolo e la cupola in mezzo alla crociera.

Non mancarono neppure ulteriori violenze e proteste; nel 1898 fame e miseria scatenano una nuova rivolta popolare, anche stavolta sedata prontamente con l’uso della forza. Altrove la folla venne ammansita a suon di cannonate, Grottaglie dovrà “solamente” accollarsi la presenza (ed il relativo mantenimento) di guarnigione di carabinieri, incaricati di vigilare sull’ordine pubblico.

Tra luci ed ombre l’economia cittadina continua a basarsi su agricoltura e ceramica, con tutti i problemi e le difficoltà portate dal progresso. La ceramica d’uso quotidiano vede sempre più in crisi il suo monopolio, insidiato da nuovi materiali e da sempre maggiori difficoltà economiche della committenza. Si cercano nuove strade ed è del 1887 la creazione di una “Scuola di Ceramica” che vuole contribuire a professionalizzare maggiormente il settore figulino e che contribuirà anche al crescere di una maggiore sensibilità artistica che favorirà anche la nascita di una scuola pittorica che nel secolo seguente offrirà diversi e apprezzati esponenti.

Anche la fede popolare, in questi anni confusi, offre consolazione e risposte, ed è sul finire del secolo che la pietà popolare permette la realizzazione della statua in argento raffigurante San Francesco de Geronimo.

Arriviamo così al ventesimo secolo, la storia lascia quindi spazio alla cronaca ed a questa ci affideremo per continuare, in altri modi, il nostro racconto.

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