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Ci sono opere che si possono dire universali, comprensibili (etimologicamente…) ad un fruitore di qualunque tempo e qualunque luogo. Ve ne sono altre che invece sono più specifiche, indissolubilmente legate ad un tempo, ad una città, ad una serie di esperienze senza le quali l’opera stessa non può essere fatta propria. Le prime comunicano al loro fruitore; le seconde invece svelano il loro creatore. “I dolori dl giovane imbuto”, agile e guizzante libretto di Alberto Petrelli fa parte di questa seconda categoria.

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Per apprezzarlo al meglio non è necessario conoscere la topografia e lo stile di vita di Ferrara (ma di certo aiuterebbe…) ma se non si hanno più di trentacinque e meno di cinquanta anni, se non si conoscono i Joy Division, se si ritiene che “Diaframma” sia solo un contraccettivo o un particolare di una macchina fotografica, se non si sono mai vissute in prima persona – o almeno in terza – feste Erasmus e assembramenti universitari, se non si sono mai apprezzate le trame dei film porno di Joe D’Amato allora, duole dirlo, non si potrà gustare al meglio questo racconto. Non che la conoscenza di questi particolari sia indispensabile, sia chiaro; per gustare un buon bicchiere di Gutturnium dell’Uccellaia non occorre necessariamente essere sommelier, così come non è una “conditio sine qua non” essere esperti cinefili per apprezzare un film di Quentin Tarantino con le sue citazioni filmiche più o meno evidenti però, ovviamente, avere un certo background, aiuta ad apprezzare al meglio ciò che ci viene proposto.

Alberto Petrelli, con il suo “I dolori dl giovane imbuto” abbatte diversi tabù , e tra il ragazzino impertinente de “I vestiti nuovi dell’imperatore” ed il Fantozzi esasperato dal cineforum del professor Guidobaldo Maria Riccardelli, scrive quello che in tanti certamente hanno pensato, dalle allusive trame di alcuni romanzetti d’amore alla gradevolezza dell’ascolto prolungato di certa musica orientale, passando per le incombenze legate ad avere un cane in casa e per l’uso abbastanza spregiudicato di quelle che un tempo si chiamavano “parolacce”. Apprezzabile – e non poco – la “levitas” con cui l’Autore affronta alcuni piccoli grandi drammi della sua generazione, dalle difficoltà a costruire una relazione sentimentale stabile a quella del “posto fisso”, le caratteristiche appaiono confliggere con le sue abitudini personali, dal confronto scontro con un padre hippy di ritorno al crollo dei grandi Ideali sostituiti dalla adorazione per i personaggi dei fumetti.

Della trama si leggerà altrove, e chi voglia averne una anticipazione non avrà difficoltà a trovare indizi più o meno rivelatori; qui preme dire che chi non si riconosce nel lettore ideale prima tratteggiato trovare in questo libro interessanti suggerimenti per arricchire la sua conoscenza, cinematografica innanzitutto, analizzando i finali “alla fratelli Coen” o scoprendo che il Korova Milk Bar non è solo quello di Ferrara, ma anche musicale, magari ascoltando qualche pezzo dei già citati Joy Division e dei Diaframma, due gruppi dalla storia che più diversa non potrebbe essere ma capaci – ognuno a suo modo – di segnare ben più di una generazione di ascoltatori.

In conclusione, “I dolori dl giovane imbuto” si rivela per un opera che contiene molto più di quanto appare, un prezioso scrigno che – al pari di quello che potrebbero aver razziato i pirati dei Caraibi (e la citazione non è casuale…) – merita di essere cercato e scoperto, avventurandosi alla ricerca delle non poche perle nascoste.

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