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Chi fu Enea? Il virgiliano Enea, che ebbe la sciagura e la benevolenza di fuggire mentre Troia ha alte le fiamme nel destino amaro della distruzione non solo di una città bensì di una civiltà, si troverà tra le braccia di Didone ad armeggiare sguardi e passioni lungo i giorni della memoria. Profeta della cultura latina. Un mondo occidentale nato dall’erede di Priamo ha un magico sentore di sfida.

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È come se si ammettesse che Roma è nata da una eredità rigorosamente orientale, riferimento di ciò che sarà poi il viaggio Ottomano, Musulmano, Islamico. Roma nasce dalle ceneri di Troia. Forse l’unico che ebbe il coraggio di ragionare su questa “metastasiana” filosofia fu Ovidio. Un poeta che è stato trasferito, per non turbare l’evanescente e mite bucolico Virgilio, in un terribile esilio “nero”.
Ovidio però non fu solo un poeta. Fu il vero profeta e filosofo in una Roma imperiale e caotica che tutto prese dalla superbia Grecia dei filosofi e della vendetta di Itaca. Platone dalla sua caverna, rubata poi da Freud, non smise mai di chiedersi di trovare un pensiero comparante tra la politica e la stessa filosofia.
Infatti Platone ne La Repubblica cesella: “ – Ma, tra i presenti governi, qual è quello che secondo te, conviene alla filosofia? –Nessuno, risposi”. E ne La settima Lettera di Vintila Horia a conclusione si legge: “Se il Dio non torna per guidare le loro mani e le loro menti, saranno nuove Latomie che essi scaveranno sotto terra, pur credendosi fedeli al mio insegnamento, pur immaginandosi di costruire nella luce della giustizia”.
Sempre e costantemente la noiosa giustizia che cercò anche Horia. Una giustizia che doveva fare il pari con la morale. La giustizia, la verità, e la morale sono contraddizioni di fatto nella rappresentazione dei popoli e delle identità che i popoli stessi cercano ed hanno cercato di esprimere.

La vita delle “Repubbliche” sono state contornate da donne con un forte carattere, come gli Imperi, che hanno saputo incidere, con determinazione, uno sviluppo mitico. Poca cosa Ulisse, Enea, Cesare rispetto a Penelope o Calipso, a Creusa e Didone e poi Lavinia un vissuto per interesse, o Cleopatra. Cesare viene ricordato per la sua Roma, per Bruto o per essere stato l’amante di Cleopatra e aver sfidato l’Impero in nome di Cleopatra che aveva l’unico interesse di far penetrare l’Egitto in un Oriente diventato Occidente?
L’unica donna, oltre al tempo splendido di Penelope che insegno all’Occidente il rito della pazienza, che visse il tempo tragico fu Didone. Una donna nella tragedia della separazione.
Enea ha realizzato il mito della fuga, delle separazioni e il rito del potere predestinato. Ulisse ha sacralizzato il viaggio e la fedeltà che si ottiene attraversando le infedeltà. Ma entrambi hanno avuto bisogno di incontrare il Regno dei non più vivi sulla terra.
Penelope ha l’intelligenza dell’attesa e di vivere il tempo inventandosi l’incastro di viaggiare, disfare il viaggio e ritornare a ricucirlo. Penelope inventa la metafora della lentezza del viaggio.

Didone fa dell’amore il grido della disperazione e decide che la tragedia, elemento già greco, comunque, deve annunciare la morte cercata e ottenuta.
Ungaretti ci trasmette, forse, una delle sensazioni più toccanti con quei suoi versi dedicati a Didone: “Ora il vento s’è fatto silenzioso/E silenzioso il mare,/Tutto tace; ma grido/Il grido sola, del mio cuore,/Grido d’amore, grido di vergogna/Del mio cuore che brucia/Da quando ti mirai e m’hai guardata/E più non sono che un oggetto debole.// Grido e brucia il mio cuore senza pace/Da quando più non sono/Se non cosa in rovina e abbandonata”.
C’è una linea d’ombra nell’intreccio tra memoria e tempo che diventa una rivelazione. Diventa Apocalisse. Quell’Apocalisse di D. H. Lawrence che conduce ad una “rivelazione”. Tutto ciò è in Ovidio, il quale intraprende il cammino nelle parole delle donne che hanno segnato il mito del donarsi. Donarsi. Didone si dona all’amore – morte.
Enea non è il mito soltanto della tradizione e della continuità (tra Anchise ed Ascanio). Porta sulla scena la dimenticanza senza rimorso. Dimentica Creusa e dimentica anche Didone. Se Penolope impone la pazienza. Didone impone il tragico.

Tra la dimenticanza e il ritorno le contraddizioni sono quelle di Platone che dimentica Socrate. Una civiltà smarrita tra i labirinti.
Cosa resta di Enea? Una città distrutta!
Cosa resta di Ulisse? Un’isola ritrovata!.

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