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Come era bello giocare “cu li bulline“! Ogni posto e ogni luogo era perfetto: sull’ autobus giallo numero 1 che ci portava alla scuola elementare Calò, sui lucenti marmi delle ampie vetrate durante la ricreazione, sui marciapiedi delle strade polverose di “li vurtagghie” dei primi anni ’80, soprattutto, per me, sulla soglia di un portone in Viale Matteotti.

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Al solo pensiero se ne percepisce ancora l’ odore forse più intenso rispetto alle figurine di oggi. Giocare “cu li bulline” ha sempre appassionato i ragazzini di qualsiasi generazione. Cosa serviva per giocare? Nessun congegno elettronico. Ma della carta colorata adesiva con l’immagine dei nostri campioni! “Precisamente” un bel pacchetto di figurine a doppione e tanta fortuna. Le figurine che più si prestavano per giocarci erano quelle dei calciatori. Diversi erano le modalità di gioco. Il più famoso e più caratteristico era quello dello schiaffo. Un ragazzino proponeva all’ altro: ”Ma sciucà allu ścaffu?”. La proposta veniva subito accolta e l’ altro ragazzino tirava fuori il suo mazzetto di doppioni, quasi sempre sgualciti e non degni di essere incollati su un album di un collezionista esigente. Il ragazzino proponente univa al mazzetto la sua quota di doppioni e si decideva quante figurine dovevano essere messe insieme per essere capovolte senza toccarle, con la tecnica dello schiaffo. Il gioco consisteva nel prendere un mazzettino di figurine che venivano incurvate, ma non troppo, per agevolarne il ribaltamento. Venivano adagiate su una superficie piana, possibilmente dura, e veniva dato un colpo secco col palmo della mano sulla superficie accanto al mazzetto di figurine incurvato. L’aria che fuoriusciva lateralmente in conseguenza dell’ impatto del palmo della mano con la superficie piana provocava, se si aveva successo, il ribaltamento del mazzetto di figurine. Per agevolare la manovra era consuetudine conformare la mano a “coppa” in modo tale che la superficie del palmo assumeva un’ aspetto concavo per favorire lo sprigionarsi di una quantità superiore di aria ed avere più possibilità che le figurine si ribaltassero.

Alla fine di sfide furiose spesso i ragazzini si ritrovavano ad avere le mani arrossatissime ma se si vinceva il premio poteva essere molto gratificante perché si riusciva finalmente ad ottenere quella figurina che non ne voleva proprio sapere di uscire dalla bustina presa all’edicola, generalmente quella che raffigurava il calciatore preferito della propria squadra del cuore. Pertanto per anni, da quando la Panini ha prodotto i primi album di figurine, generazioni di ragazzini si sono divertiti a far fare capitombolo ai volti dei calciatori: da Omar Sivori a Mariolino Corso, passando per Paolo Rossi e Michel Platini. Ma non c’era solo “lu schiaffo“, un’altro gioco di figurine famosissimo era “a maschio e femmina”, nelle diverse tipologia poteva essere a figure o a numeri. La variante a figura la si poteva giocare solo con le figurine di calciatori. Ogni partecipante aggiungeva una figurina su quella di chi lo precede. Quando la squadra di militanza del calciatore aggiunto era la stessa di quella del calciatore precedente si aveva il diritto a prendersi tutto il mazzetto di figurine che andava via via formandosi. Nella variante a numeri si aveva il diritto a prendersi il mazzetto quando l’ ultimo numero della figurina aggiunta era uguale a quello della figurina precedente. In quest’ ultima variante si giocava con le figurine girate. A differenza dello “ścaffu”, a “masculo e femmena” si potevano vincere molte più figurine.

Un’altra modalità gioco altrettanto diffusa era “lu ticchite“. Era relativamente semplice. Consisteva nel porre il mazzetto di figurine su una superficie rilevata, in modo da farne sporgere circa la metà. A questo punto si teneva il pollice sotto l’ indice posizionato sotto la superficie sporgente del mazzetto e si schioccava un colpo secco colpendo le figurine e facendo ruotare, se si aveva successo, il mazzetto di 180 gradi. Sembra una operazione facile ma non lo è affatto. Infine per i non amanti dell’ azzardo rimaneva sempre il pacifico scambio dei doppioni: “celo, celo,celo…mi manca!!!”.

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