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Nel giorno della memoria di cui tanto si discute ci sono nomi e personalità che andrebbero riascoltati e letti. Scrittori sui quali bisognerebbe riflettere e storie che andrebbero, ppunto, riascoltate. La vulgata del parliamone per ricordare o per non dimenticare ha la sua valenza nella tragicità dei fatti e nel dramma che è stato vissuto e che è stato attraversato in un periodo storico molto contradditorio che è dentro la storia d’Italia.

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La letteratura italiana spesso dimentica, anzi la storia della letteratura e con essa la scuola italiana, che soprattutto oggi vive una sua crisi nella ricerca storica sulle storiografie e sulle letterature per motivi articolati e non ultimo la poca capacità critica di molti o alcuni docenti, scrittori e personaggi che hanno avuto una loro particolare importanza nel rapporto tra cultura ebraica cultura cattolica e socialismo.
Certo, tra gli scrittori che vengono posti come riferimento resta ancora Primo Levi. Scrittore che ha disegnato il destino di un popolo in se questo è un uomo ponendo la maschera di una dolorante tragicità che si fa nascere con le leggi razziali, ma che proviene, comunque, da molto lontano.

La questione ebraica, ebrei, non si pone negli anni Trenta del Novecento. L’errore che spesso si compie è proprio quello di farne del tutto una “ragione ideologica”, elemento non vero nel processo tra autoritarismi e giacobinismi proprio in un’età qual è quella devastante e falsa dell’Illuminismo rivoluzionario non solo francese.
Ma la questione ebraica continua perché nel recente conflitto relativa allo scontro sulla Striscia di Gaza si sono posti, anche in maniera geopolitica, delle questioni serie tra Israele e realtà ebraica e mondo palestinese.

Guardare soltanto alle Leggi razziali mi sembra molto riduttivo e sostenere una scuola che punta ad una lezione leviana mi sembra ancora di più poco affidabile dal punto di vista della ricerca, della conoscenza e della stessa metodologia scolastica.
Tra i nomi che andrebbero riletti e attraversati, da una conoscenza e consapevolezza, con spirito sereno c’è Margherita Sarfatti.

Già, l’ebrea Sarfatti che scrisse nel 1915, cento anni fa, un testo fondamentale per una riflessione a tutto tondo sul ruolo della donna e del “femminismo” e femminilità: “La milizia femminile in Francia”.

Margherita Sarfatti nasce da una famiglia ebrea, ovvero della ricca famiglia ebrea Grassini. Il padre si chiamava Amedeo Grassini in una Venezia in cui gli ebrei Grassini rivestivano un ruolo predominante sia sul piano economico che sociale oltre che politico.

Margherita Grassini era la figlia dell’avvocato, del consigliere comunale e dello stretto collaboratore del patriarca di Venezia. Era nata nel 1880. Nel 1898 sposa il socialista e militante Cesare Sarfatti. Da qui si affaccia al socialismo con entratura nel marxismo.

Formatasi, comunque, alla scuola e agli insegnamenti soprattutto di Pompeo Gherardi Molmenti. Partecipa attivamente alla vita socialista e collabora con Anna Kuliscioff, ma anche con Benito Mussolini socialista sulle pagine del giornale “Avanti”.
La Sarfatti è una scrittrice oltre ad essere una giornalista socialista. Una personalità di primo piano che inventa un modello di fare cultura, da Milano a Roma, attraverso non solo i suoi “salotti”, ma anche attraverso i suoi libri di poesie, la sua costante critica artistica e letteraria, il suoi narrare. Addirittura Ada Negri dedica a Margherita la sua raccolta di versi dal titolo “Le solitarie”.

È un mondo complesso quello dell’ebrea Margherita Sarfatti Grassini. Dal rivestire un ruolo di primo piano nelle battaglie femminili alla propaganda futurista. Infatti si occuperà di Emilio Notte in un importate articolo “L’esposizione post-impressionista e futurista del pittore Emilio Notte”, su “Cronache d’attualità” apparso Roma, 5 giugno 1919, che resterà un manifesto critico a tutti gli effetti.
Siamo al 1919. Dove sta lo snodo o il nodo gordiano della Grassini Sarfatti? Il suo legame con Benito Mussolini. Ma il suo legame con Mussolini diventa riferimento negli anni socialisti di entrambi. Un legame che continuerà sino alla sua fuga in Argentina. La Sarfatti resta una scrittrice ebrea che amò Mussolini, e divenne non solo l’amante ma anche la collaboratrice e consigliera culturale.

Fare storia e letteratura significa anche capire e offrire letture significative per comprendere problemi che hanno toccato e toccano le civiltà e gli uomini.
Non la si può cancellare la Sarfatti.

Resta una protagonista nella cultura d’Italia. Questo è il punto. Pubblica il suo libro su Mussolini “Dux” nel 1925 in Inghilterra, si pensi all’Inghilterra di quegli anni, e l’anno successivo in Italia. Perde, nel 1918, un figlio nella Grande Guerra. Roberto, aveva 18 anni ed era andato volontario con gli Alpini in guerra morendo sull’Altipiano di Asiago. Gli verrà conferita la medaglia d’oro al valor militare.
Aderì al Manifesto degli intellettuali fascisti del 1925. Ma fu ebrea. Tanto che si trasferì, dopo le emanazioni dei provvedimenti del 1938, in Argentina e in Uruguay e a Montevideo. Fece ritorno in Italia nel 1947. Muore nel 1961 a Cavallasca, era nata a Venezia nel Ghetto.

I suoi ultimi libri risalgono al 1950 “Casanova contro Don Giovanni”, al 1955 “Acqua passata” e al 1958 “L’amore svalutato”. Un libro che ha un significativo valore letterario e umano.
Il resto è nella storia da riscrivere.

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