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Questo è un libro inutile.

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Si tratta, è evidente, di una affermazione forte che va in qualche modo giustificata. E’ un libro inutile per gli amanti del cinema di Quentin Tarantino, perché chi già apprezza l’opera di questo geniale artista non ha bisogno di ulteriori stimoli per aumentare il suo livello di gradimento. Ma è inutile anche a chi non apprezza i suoi film, perché l’originale analisi che ne viene fatta in questo libro richiede una attenzione ed una curiosità che sarà ben difficile ottenere da chi non è interessato a scoprire le molteplici qualità dell’opera di questo rivoluzionario del cinema.

Per gli stessi motivi di cui sopra, a parti invertite, “Quentin Tarantino e la filosofia”, a cura di Richard Greene e Silem Mohammad è un libro prezioso, perché i due autori – come esperti tagliatori di diamanti – riescono a far splendere di una nuova luce gemme uniche come le prime opere cinematografiche del regista americano.

A testimoniare la particolarità del volume, un sottotitolo che è tutto un programma: “Come fare filosofia con un paio di pinze ed una saldatrice”, citazione sfacciata ma non ruffiana di una delle scene clou di “Pulp Fiction”. Ed a confermare che non si tratta di opera unica e fortunata, ma di una pietra preziosa che compone una brillante parure basta scorrere gli altri titoli compresi nella collana de “Il Caffè dei filosofi” curata da Claudio Bonivecchio e Pierre Dalla Vigna, che per i tipi delle Edizioni Mimesis offrono una cinquantina di titoli che spaziano tra new media, serie TV, cinematografia, filosofia, letteratura ed esoterismo.

Come detto, Quentin Tarantino o lo si ama o lo si odia, ed appare credo evidente che chi scrive sia dalla parte dei primi. La lettura di questo libro getta abbondante benzina sul fuoco della passione, e consente – solo per dirne una – di avere l’occasione di analizzare scelte di sceneggiatura, inquadrature, dialoghi e personaggi sotto una luce originale, anche se non nuova, traendo gli strumenti dell’analisi dalle opere di filosofi antichi e moderni.

Pur trattandosi di un saggio scientifico, è difficile scegliere un brano da citare senza il timore di rivelare troppo di una trama che non c’è ma che purtuttavia merita di essere scoperta; ai più curiosi basti sapere che i titoli delle quattro parti in cui è diviso il volume sono citazioni di dialoghi dei film esaminati, e che i titoli dei capitoli sono altrettante chicche. Ulteriore pregio di questo volume è l’essere una opera corale, che raccoglie scritti ed analisi di diversi autori, riuniti però (sia lode ai curatori!) con un fil rouge che non mostra scossoni e disturbanti cambi di stile.

Unica pecca di questo libro è la sua età, essendo stato scritto nel 2007 si occupa solo della prima filmografia di Tarantino, ed in particolare de “Le Iene”, “Pulp Fiction”, “Jackie Brown” e “Kill Bill”, ma ha la capacità di analizzare queste pellicole con strumenti così efficaci che i principi rilevati possono essere applicati senza difficoltà dal lettore anche alle pellicole dell’ultimo periodo. I vari saggi raccolti nel volume inquadrano (è il caso di dirlo) l’opera di Tarantino analizzandola in maniera attenta e curiosa, riuscendo a fornire una lettura di insieme di opere apparentemente lontanissime tra loro, attingendo a piene mani da Hume e Baurillard, Hobbes e Aristotele, Nietzsche e Kant. Ulteriore motivo di personalissimo piacere sono le stoccate a Mel Gibson, al cinema francese ed alla prosopopea di alcuni suoi esponenti, che insieme ad altri e ben distribuiti momenti di alleggerimento, rendono la lettura godibile nonostante il rigore della analisi filosofica dei temi analizzati.

Se vi siete mai chiesti cosa abbia a che fare il confronto tra Apollo e Dioniso con la scalcagnata banda di rapinatori de “Le Iene”, se vi siete mai interrogati sul retroterra morale di Stuntman Mike, se avete il dubbio che Beatrix Kiddo possa mai raggiungere la illuminazione, se vi intriga il dilemma se rubare ad un delinquente come fa Jackie Brown sia eticamente accettabile, ma anche se non vi siete mai posto nessuno di questi problemi ma amate i film di Tarantino e non sapete spiegare perché, allora questo libro fa per voi.

Un’incursione filosofica nel multiforme immaginario del regista più amato dalle nuove generazioni. I film di Tarantino sono maturi per la speculazione filosofica, pongono domande impellenti sull’etica, la giustizia, la natura della casualità, il flusso del tempo e altre questioni cruciali. È così che in questo libro curioso e intelligente si passa da una meditazione estetica sull’uso del sangue a spruzzo in Kill Bill a un’analisi sulla liceità della violenza. la sposa interpretata da Uma Thurman è una figura eroica, anche se motivata solo dalla vendetta? L’incesto continuerà a essere un tabù? Non per i filosofi di questo libro, che affrontano senza pudori questioni scottanti e provocatorie almeno quanto i film su cui riflettono. E chissà se, alla fine del libro, potremo finalmente accantonare ogni dubbio sul senso del discorso tra Vincent e Jules sul Big Mac francese nel mitico Pulp Fiction?
(Dalla seconda di copertina)

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