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Cosa fare quando l’ingiustizia si accanisce nei tuoi confronti? Beh, la risposta che viene data dalla commedia “Son morto e non m’ero accorto!” è quella di “sorridere e piangere nello stesso momento”.

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E’ questo lo spirito con cui si sviluppa l’ultimo spettacolo della Compagnia del Teatro Jonico Salentino del bravissimo Valerio Manisi, un artista completo e poliedrico di cui Grottaglie deve andare fiera.

Un’opera che assume maggior significato in quanto ispirata da una storia vera; commedia che si sviluppa in due atti e un prologo inatteso, che per oltre due ore tiene alta l’attenzione del pubblico, senza mai annoiarlo, senza mai diventare volgare ma anzi, dando dei messaggi di speranza facili da ac-cogliere in quanto immersi in un clima di gioviale ilarità.

Il primo atto è ambientato nella casa di Giosuè Brigadiere, uomo burbero ma capace di molta comprensione, quella comprensione che non avrà più nel finale l’altro protagonista dell’opera, Andrea Vastaso.
Tutto sembra scorrere in una semplice quotidianità: le incomprensioni familiari tra Giosuè e la sorella Giuditta, gli screzi tra Andrea e la suocera, le battaglie ideologiche tra Andrea e la Chiesa, personificata proprio dal fratello prete.

A un certo punto, come spesso accade nella nostra vita, il destino, bello o brutto che sia, bussa improvvisamente alla porta della tua tranquillità domestica e ti travolge in un vortice che non puoi controllare perché nulla dipende da te.
E’ così che i nostri protagonisti si trovano a esser accusati di rapina dove, per lo sfortunato Giosuè, un colpo di zappa sul piede (proprio come insegna il detto: “darsi con la zappa sul piede”) diventa un colpo d’arma da fuoco (splendido questo accostamento tra un’arma di pace come la zappa e un’arma di guerra come quella da fuoco) mentre, l’atteggiamento di sorpresa di Andrea nel vedere la polizia a casa dell’amico Giosuè, diventa un atteggiamento “sospetto”.

E’ qui che viene posto sotto i riflettori il tema principale della commedia: “il senso della giustizia”. Bravissimo l’autore a far emergere come, alle volte, l’applicazione della legge non corrisponde alla manifestazione della giustizia.

In particolare, la giustizia (parola ebraica che significa “giusta relazione”), alle volte, potrebbe non corrispondere alla legge, basti pensare alle leggi naziste e razziste della Germania di Hitler o alle leggi razziali del nostro periodo fascista.

E’ proprio quest’ultimo il periodo che richiama l’opera quando, fa assumere all’ispettore i tipici atteggiamenti fascisti, rigidità e presunzione di superiorità che vengono ridicolizzati dal suo mancato rispetto dei diritti dei diversamente abili allorquando, viene parcheggiata la sua auto davanti allo scivolo d’ingresso della caserma.

E’ drammatico quando l’esercizio della forza dell’ordine non permette di vedere la sofferenza degli innocenti, tanto da far diventare la giustizia una sorta di partita d’azzardo sulla pelle dei poveri Giosuè e Andrea, ben esplicitata dal motto dell’avvocato: “se siete colpevoli la legge avrà vinto, se siete innocenti la legge avrà perso”.

In questo caso si dimostra come, insieme alla legge, ha perso anche la giustizia perché per tre anni è stato tolto il bene più grande a due uomini innocenti, la libertà; è questa la morte interiore, che poi diventerà fisica, che attanaglia il povero Andrea che, non riesce a sopportare il peso di aver perso i primi tre anni di vita della figlioletta.

Morte presente anche nel povero carcerato senza volto che, in un raptus di follia colpisce e uccide accidentalmente l’uomo che maltrattava la figlia. In questo caso la morte avviene già nel veder quell’uomo che muore (come canta Fabrizio De André nei “10 comandamenti”).

La commedia permette ulteriormente di comprendere la genesi dell’ingiustizia; infatti, l’ingiustizia viene alimentata dalla menzogna e dalla paura, quella paura che attanaglia il cugino di Giosuè (unico testimone oculare della rapina) che, per timori di ritorsioni non denuncia i veri colpevoli, noti mafiosi della zona.

E’ così, attraverso la semplicità di un teatro divertente, abbiamo la possibilità di comprendere anche la genesi della giustizia che può manifestarsi solo attraverso la corretta applicazione delle leggi che reggano sulla verità dei fatti giudicati senza paura ne preconcetti di sorta.
Il prologo, è un bel dialogo in rima fatto dai due protagonisti ormai in paradiso per chiudere, all’insegna del sorriso, una magnifica commedia che tanto avrebbe da raccontare alla giustizia italiana di oggi.

 

(Si ringrazia per la gentile collaborazione il sig. Francesco De Angelis, autore dell’articolo)

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