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E’ rrivatu Natali, no ttegnu tinari, no ttegnu nna pipa, no pozzu fumà. E’ rrivatu Natali, cu friddu e cu fami, no ste mancu pani cu pozzo mancià! Ninò Ninò e Peppu Nasò, Ninò Ninò e Peppu Nasò”. Come si evince da questa canzoncina cantata molti anni fa il Natale porta con se oltre che gioia anche amare riflessioni che vengono amplificate proprio in questo periodo.

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Si sa, il Natale ce lo portiamo dentro e lo percepiamo in modo diverso a seconda della nostra età, del nostro vissuto e del nostro stato d’ animo. Quante volte abbiamo sentito dire :”St’ anno non ci m i ste pare propria ca ete Natale. Speriamu cu passa subbtu”, oppure “Na vota era diversu. Li cristiane spittavunu Natale puru pi putè mancià. Mone non c’è kiù cussì. La ventri chijena no crete lu ddiciuno!” o ancora “ Na vota era diverso. Mone s’è persa la tratizione”. Natale c’è e ci sarà sempre e sarà sempre festeggiato in modo diverso a seconda dei tempi, e noi anno dopo anno lo percepiremo sempre in modo diverso confrontandolo coi precedenti che tireremo fuori dal bagaglio del nostro vissuto.

Da piccolo ricordo che l’ attesa per il Natale era spasmodica. Alcuni giorni prima vedevo mia madre che ritagliava angioletti di cartone da incollare alla finestra. E poi l’ albero. Era enorme con quelle palle semplici monocromatiche che si usavano negli anni settanta. Forse a guardarlo adesso mi sembrerebbe misero ma allora mi pareva essere più bello dell’ albero di Natale esposto nella lobby dell’ Emirates Palace Hotel di Abu Dhabi. Ma l’ attesa più grande era per Babbo Natale.

La notte non riuscivo a dormire tra la paura di ritrovarmelo improvvisamente in casa e la felicità di avere i regali. Quando sentivo il rumore che facevano i miei genitori per sistemare i regali rimanevo con gli occhi chiusi trattenendo quasi il respiro, pensavo proprio che ci fosse Babbo Natale.

E la mattina dopo mio fratello, che si è sempre svegliato prima di me, mi chiamava tutto contento dicendomi “E’ arrivato Babbo Natale!!”. Con gli anni ho capito che Babbo Natale non esisteva e la notte sentendo quel solito rumore di sistemazione dei regali rimanevo lo stesso con gli occhi chiusi trattenendo il fiato, mantenendo una sorta di agreement, di accordo sottinteso tra me ed i miei genitori. Anche loro avevano capito che ormai non ci credevo più, ma ci piaceva ancora far finta di crederci.

I giochi di allora erano costituiti essenzialmente da soldatini, indiani, macchinine telecomandate (quelle col filo, le radiocomandate costavano troppo) e costruzioni. Ma il regalo più bello lo ebbi nel ’78, la console per videogiochi PONG della Atari, quelli coi bastoncini e la pallina a rettangolino e con quell’ inconfondibile suono elettronico d’ altri tempi. Uno dei primi videogiochi in assoluto, roba da far tornare indietro nel tempo il crononauta John Titor per riprenderselo e portarselo nel futuro. Durante i pranzi di Natale ricordo che c’era sempre tanta gente, d’altronde quando si è piccoli sono vivi ancora i nonni che fanno da collante tra le famiglie.

Era il giorno di dire a memoria la poesia di Natale e di presentare il lavoretto di DAS colorato sul tavolo (infatti all’ epoca il DAS era solo grigio). A prescindere dal successo della poesia la ricompensa oltre che dagli applausi poteva essere molto alta fino ad arrivare alla mille lire di Giuseppe Verdi. Durante l’ adolescenza l’ approccio col Natale cambiò radicalmente. Ci riunivamo in qualche casa tra compagni di scuola a giocare a carte ed a scolarci le prime birre. Ore ed ore a giocare come giocatori di poker incalliti a giochi come briscola, pippinedda, ciucciu, scopa e a ladro. E poi una volta finito, lungo il tragitto per arrivare in chiesa scoppiavamo minerve e bommicedde ricevendo anche qualche rimprovero.

La messa di Natale ha sempre mantenuto negli anni un fascino rimasto intatto. Non so com’ è ma ogniqualvolta che ci sono andato, o con amici o con mia madre o da solo, ho sempre trovato tutti i posti occupati rimanendo sempre in piedi.

E puntuale come sempre tra la folla, la stanchezza di chi durante tutto il giorno aveva lavorato, la lunga durata della messa e l’ aria viziata dell’ ambiente chiuso, la solita frase: “Ahè, stè na cristiana ca si ste sente male! Forzaaa facite setere quera puredda...” Nella sua “tragedia” il fascino della messa di Natale è anche questo. Ricordo con piacere ancora la prima volta che andai alla messa alla grotta di Bucito. Pioveva e c’era un forte vento. All’ inizio sbagliammo strada perchè davanti a noi non c’era alcuna macchina di riferimento, ma dopo quando facemmo inversione ci accorgemmo che una colonna di macchine ci aveva seguito sbagliando.

Arrivati alla grotta rimasi veramente ben impressionato dall’ atmosfera: sembrava di essere a Betlemme. L’ unica nota stonata era il vento che mascherava il suono delle voci. Ritengo che se il tempo della sera della vigilia di Natale lo permette, la messa alla grotta di Bucito meriti di essere seguita. Per quanto concerne le abbuffate natalizie ricordo molto volentieri le cene della vigilia rispetto ai pranzi di Natale. Pett’le, sannacchiut’le (ossia “si hanno da chiudere” per sottrarli alla golosità dei bambini), purcedduzzi (non sono altro che li sannacchiut’le fatti strisciare sul dorso della grattugia conferendo loro un aspetto caratteristico), tiente ti San Ciseppu, cartiddate.

E poi pesce a volontà: viermiciedde cu lu sugo ti pesce, baccalà fritto ed al sugo, capitone fritto ed al sugo, triglie, orate, cozze, totani ripieni, gamberoni e quant’altro, contornati da rapicole stufate (cime di rape stufate) e verze situte (verze stufate). Però tutto a base di pesce perchè essendo una vigilia non si mangia carne, non ci s’ incammara.

E tutto questo ben di Dio circondato da una atmosfera suggestiva scandita dall’ accendersi e dallo spegnersi delle luci dell’ albero e del presepe nell’ attesa della mezzanotte. Infatti giunta la mezzanotte si può aggiungere nel presepe lu Mamminieddu tra San Giuseppe e la Madonna, tra il bue e l’ asinello sotto lo sguardo meravigliato ti lu sbantusu, cioè il pastore meravigliato, tipica figura dei nostri presepi.

Tutto questo rituale durante ogni vigilia di Natale prende ogni anno vita nelle nostre case, mentre la televisione trasmette uno dopo l’ altro film e cartoni dal sapore antico e fiabesco. Il pranzo di Natale poi è il trionfo dell’ abbondanza, un tripudio di portate una più ricca dell’ altre: antipasti, pasta al forno con la besciamella, agnello arrosto con le patate o cu li lampasciune, marretto, capuzzella, capretto, pollo arrosto e carne in umido.

E poi quando ormai la cintura dei pantaloni non riesce più a contenere la neoformata massa adiposa post-prandiale arriva finalmente l’ora del panettone, dello spumante e del sempre amato limoncello. Alla sera, quando ormai stanchi ritorna in noi quel desiderio di quotidiana normalità c’ è chi per tradizione va al cinema con la famiglia a sorbirsi il cinepanettone dell’ anno. Come Tornatore per la sua Bagheria e Virzì per la sua Livorno anch’io ripenso alla mia Grottaglie nel tempo ripercorrendo tutti questi Natali passati.

Ed il futuro? Forse lo trascorreremo in perfetta solitudine su di una solitaria astronave governata da un computer come l’ HAL 9000 di 2001 Odissea nello spazio che ci dirà :”Auguri, oggi è Natale” e non succedere null’ altro, nel silenzio incontaminato dello spazio.

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