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«Il ministro lo ha detto in commissione Cultura. A domanda risponde, Dario Franceschini. E conferma ciò che si temeva. Per il governo Renzi, la Cultura va trattata alla stregua di un qualsiasi ufficio burocratico.» Lo dichiarano in una nota congiunta il deputato Giuseppe Brescia, portavoce alla Camera dei Deputati, Commissione Cultura e l’eurodeputata Rosa D’Amato, portavoce al Parlamento europeo, Commissione Sviluppo Regionale, commentando la scelta di trasferire a Lecce gli uffici della Soprintendenza fino ad oggi ospitati a Taranto.

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«Si procede alla Riforma delle Soprintendenze e dei Musei? Chiedono Brescia e D’Amato – Allora vediamo quanti dirigenti ci sono, dove sono, a quale fascia di pianta organica appartengono: e vai con la spartizione per non scontentare nessuno, per mantenere gli equilibri, per calibrare le azioni territoriali.
Non lo sapevamo, ma in Italia abbiamo anche il manuale Cencelli della Cultura!!!!
Accade così che una città importante per la storia e le origini elleniche, Taranto appunto, perda la propria autorevolezza regionale. E la perde da punto di vista archeologico, dopo 110 anni di lavoro costante e internazionalmente riconosciuto, perché a Taranto c’è già una dirigente di seconda fascia a capo del Museo MarTa. Questo dice il ministro.
Anzi no, si tratta anche di anagrafe, come conferma lui stesso rispondendo alle domande poste da M5S in commissione: la provincia di Lecce ha un milione di abitanti, il doppio della provincia di Taranto!
Dunque, 100 anni di lavoro, ricerca, scoperta, valorizzazione, tutela e organizzazione delle tracce di memoria collettiva vengono cancellate con un colpo di spugna poi spalmato sulla Puglia, regione che adesso viene divisa archeologicamente per tre senza nemmeno il resto di un riconoscimento chiaro e netto alla necessaria centralità operativa di Taranto. Altro che succursale ‘con i dipendenti che restano’.

Il punto non è questo – chiariscono gli esponenti pentastellati. La comunità ionica che cammina ogni giorno sulla propria storia, sepolta sino alla fine dell’Ottocento e faticosamente, e sin troppo troppo parzialmente, fatta riemergere nonostante limiti e carenze dell’azione svolta.
E poi Taranto non è una città come le altre, oggi.
Taranto è al bivio col suo destino, strozzata tra diritto alla salute e diritto ad un lavoro sicuro e al sicuro. Taranto non è affatto solo Ilva ma di Ilva sta rischiando di morire. È lo stesso governo Renzi, a modo suo (errato) ad occuparsene con il Contratto Istituzionale. È il governo Renzi a dichiarare di voler puntare sulla rinascita della Città Vecchia (progetti soliti e ripetuti… Fondi ed idee sempre uguali negli anni…) ed è sempre il Governo Renzi a dichiarare strategica la città del porto e della Magna Grecia.
Dunque? Perché non rendere giustizia alla preistoria e alla storia millenaria che parte dall’approdo spartano e giunge ai giorni nostri? Perché non asserire con maturità politica e culturale che Taranto non si ribella a questa riforma per banali ragioni campanilistiche, ma lo fa solo per difendere quel poco che ha e per rinascere anche grazie a una gestione diretta della propria cultura?

Qui non si tratta di negare la nuova autonomia della Soprintendenza di Lecce.
Si tratta di tutelare quella tarantina affinché, come già sostenuto durante la manifestazione spontanea di sabato scorso in Città Vecchia, Taranto possa governare direttamente la propria ricollocazione nel panorama culturale e dialogare direttamente con quel museo, il MarTa, in piena ascesa turistica (lo dicono i dati ministeriali del 2015) e che deve varcare i confini della Puglia e del Meridione.

Taranto – concludono Brescia e D’Amato – non può essere succursale di un’altra giovane Soprintendenza. 100 anni di lavoro non si declassano

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