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Il linguaggio poetico in musica ottiene un grande riconoscimento. Di questo sono molto soddisfatto. Bob Dylan. Premio Nobel per la letteratura. Nei miei lavori suo cantautori Dylan resta fondamentale.

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È un fatto significativo. Rompe steccati e varianti. Si entra nella cultura popolare che ha fatto della musica una forma di linguaggio nel qualle si vivono non solo le sensazioni, ma anche le forme di in processo che è strettamente letterario e linguistico.
Questa volta sono felice. I motivi sono tanti. Principalmente perché si riconosce il testo di una canzone come vera e propria DIMENSIONE letteraria. La canzone d’autore non è mai stato un prodotto diverso rispetto alla poesia.
Questo vale per Dylan ma vale, come più volte ho scritto nei miei libri sui cantautori italiani, per De André, per Califano, per Conte per Tenco, per Beatz, per Noa per Franco Simone, per Mia Martini.
Il testo musicato è un testo poetico. Un dibattito che ho sempre seguito e sul quale ho speso molto lavoro.

Dylan chiaramente dagli anni sessanta in poi ha contrastato le istanze somnesse dei linguaggi tradizionali, ed ha creato la parola rarefatta come nel mondo simbolista francese o ermetico italiano e latino americano. Perché nel testo di Dylan ci sono gli intrecci tra contenuto e forma, tra immaginario e regia della parola.
Le parole portate dal vento e il vento che si fa parola. Una visione delle metafore corte.
Ma a Dylan molti della mia generazione devono gran parte della propria formazione. Magari un Dylan non diretto e filtrato dai testi dei cantautori italiani. Lessi Dylan e Beatz prima di ascoltarli nei testi della Newton.

Brassen o Brel sono dentro quel viaggio che parte dal canto di “Gracias de la vida” sino al tempo che viaggia nello spazio della spiritualità appunto di Dylan.
Un Nobel meritato. Questo sì. Innovatore. Maestro e corruttore positivo dei liguaggi in cravatta e gile’.
Poi autorevolmente si riconosce alla canzone il ruolo di essere patrimonio della creatività. Ma c’e’ di più. La poesia che oggi è in travaglio nasce non più dalla retorica. Bensì dalla inquietudine del rinnovamento.
Dylan in fondo regala spiritualità intrecciata nella antropologia dei linguaggi con una dimensione sempre innovativa. Non sperimentalista tout court, ma nelle avanguardie che danno un senso.

La canzone dunque come espressività letteraria e il linguaggio musicale come modello emozionale.
I suoi testi lo dimostrano ampiamente. Io l’ho sempre percepito e recepito come poeta. La poesia come dimensione onirica nel percorso linguistico.

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