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Lo smalto

Il rivestimento vetroso stannifero chiamato comunemente “smalto”, si compone di una percentuale variabile di silice detta anche “rena bianca” che proviene dal “caolino” di Calabria con operazione di “stricatura” analoga a quanto descritto in precedenza, una di piombo calcinato che deriva dalla calcinazione del piombo nel fornetto a riverbero di qualità migliore rispetto a quella usata per la “robba gialla” perché i rottami sono selezionati con maggior cura, e infine, un’aggiunta di stagno metallico che viene unito al piombo durante la calcinazione. Subendo un’ossidazione intensa dà luogo alla formazione di una polvere fine di color giallo – arancio.

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Il tutto viene amalgamato in una miscela omogenea grazie a una macinazione a umido nel mulino, di durata variabile. Le percentuali dei componenti variano da bottega a bottega. Ogni figulo ha una propria ricetta personale che custodiva segretamente e che spesso veniva tramandata nella famiglia da generazione in generazione. In genere si aumentava la percentuale dello stagno quando si voleva ottenere un maggior nitore sulla superficie del manufatto.

Secondo le testimonianze di alcuni vasai, le generazioni del primo Novecento utilizzavano il “marzacuettu” al posto dello stagno. Si trattava di vetri di bottiglia che prima venivano sottoposti a cottura nella fornace poi macinati a umido insieme al piombo calcinato e alla “rena bianca”. Il risultato ottenuto era buono e l’utilizzo di questo materiale si è protratto per lungo tempo anche se alcune botteghe preferivano utilizzare lo stagno perché era una sostanza più facilmente reperibile e di più semplice preparazione.

In tempi passati lo stagno era in pani o in verghette e la percentuale da aggiungere era calcolata a peso. Pesare le verghette non creava difficoltà e tagliare i pani in parti dal peso uguale era un’operazione che avveniva rapidamente. La miscela, opportunamente diluita con acqua, veniva applicata per immersione o aspersione sul biscotto ingobbiato ben spolverato. Segue, quindi, la fase dell’essiccamento, poi si passa alla seconda cottura a una temperatura che varia a seconda delle caratteristiche del rivestimento.

La composizione

Infatti, più la temperatura è alta maggiore deve essere il grado di durezza dello smalto ottenuta grazie a una percentuale maggiore di silice. La differente composizione dello smalto influisce anche sulla posizione dei manufatti all’interno della fornace. Il fornaciaio colloca, nella parte dove la temperatura è più alta, la “robba bianca” rivestita di smalto molto duro, al centro della fornace invece, posiziona i manufatti dallo smalto tenero e nello strato a temperatura inferiore colloca la robba rivestita con smalto molto tenero. In questo modo i manufatti sono sottoposti a una cottura adeguata.

Il rivestimento usato per rivestire la “robba bianca” si presenta povero sia come qualità delle materie prime che per la semplicità della composizione e della preparazione. Senza l’ingobbio, il rivestimento, pur essendo stannifero, non sarebbe sufficiente a coprire il colore del corpo ceramico. È merito dell’ingobbio più che dello smalto se il manufatto acquista un fondo tendente al bianco anzi non è quasi mai bianco ma avorio o tendente al giallo tenue.

Durante la cottura il rivestimento vetroso aderisce perfettamente all’ingobbio creando un insieme unico con il corpo ceramico. Grazie all’esperienza il vasaio ha imparato quali accorgimenti adoperare per far accordare tra loro i materiali diversi che danno un differente risultato in cottura e in raffreddamento. Alcune volte, dopo la cottura o a distanza di tempo, sulla superficie del manufatto appare una ragnatela di fessurazioni più o meno sottili, detta “ragna”, frutto di un mal riuscito accordo nella dilatazione dei differenti materiali.

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