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Parlo di leggerezza! Il vento è lieve. La piuma è leggera. Una foglia cade lieve ed è leggera. Ma le parole non possono essere leggere. La leggerezza nelle parole è il paradosso del Pensiero. Perché il Pensiero o è forte e pesante o è un non Pensiero.

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Allora, dopo questa precisazione vado oltre. Si può morire di morte? Paradossi.
La letteratura è l’enigma del paradosso. Perché oltre c’e’ solo l’eterno. Dio che ha lo Spazio e domina il Tempo.
Di morte si muore. Bisogna avere la saggezza di vedere le stelle danzare. Potrebbe essere una stupidaggine. Si è stupidi fino a quando ci si crede intelligenti. E si è intelligenti quando si ha il coraggio di confrontarsi con la stupidità. Ma di morte si muore. In una civiltà che ha venduto la tradizione alla leggerezza del non pensiero tutto conduce alla fine.
La fine non è la morte.
Ma la morte arriva quando non si ha più la possibilità di trasmettere ai propri figli una credibilità non solo di coerenza, ma di pensiero. L’età che attraversiamo è un’età del non pensiero e ci si maschera dietro quel senso della debolezza della proposta esistenziale per rendere vivibile la vita.

La vita è sempre vivibile. Anche se a volte resta invisibile. Non è vivibile nel momento in cui un pensiero non ha peso nella coscienza, nel cuore e nel tempo del proprio esistere.
Mi sono chiesto più volte: perché tessere l’elogio della leggerezza quando abbiamo bisogno della pesantezza per entrare nel mondo della rappresentazione del pensiero?
Il pensiero è un viaggio e va rappresentato in una visione non collettiva, come tempo fa si sosteneva, ma comunitaria. Noi siamo figli di una cultura comunitaria e la tradizione è fondamentale soltanto se si riesce a far passare tra i labirinti della solitudine, della memoria e della speranza il sole dell’innovazione nella pazienza. Cerchiamo di mettere a colloquio Cristo e Budda.

Io che ho fatto della nostalgia un mio cammino ho sempre inteso e compreso la nostalgia come memoria, ovvero come il non dimenticato del tempo o meglio come il non dimenticare del tempo passato. Ma il tempo passato non si dimentica con il cangiare della luna o con l’apparire e sparire o spartire la notte delle stelle.
Certo, bisogna sempre aspettare che le stelle brillino. Ci sono anche stelle opache. Bisogna sempre che sul mare ci sia una luna riflettente e illuminante. Abbiamo bisogno di infinito perché abbiamo bisogno di comprendere le frontiere del finito. Ma come si può affrontare questo spazio che è metafisico con l’attrazione della leggerezza? Solo l’ignoranza del metafisico pone al centro il leggero del pensiero e ponendolo al centro riduce la vita a una masturbazione su tentativi di piaceri che non porteranno mai all’orgasmo.

Ormai si fa l’amore fingendo perché non è necessario l’amplesso rigeneratore e rigenerante, ma immaginativo. Pensiamo a cosa è un amplesso immaginario che trova nell’immaginativo la sua chiosa storica. Si deve avere la consapevolezza dell’infinito e del finito. Ma come si può parlare di leggerezza davanti all’infinito che non conosciamo e al finito che resta indelebile mistero?
Il nulla ha bisogno delle società deboli. Leggere. Vuote.
Già, ma ci sono figli di un kantiano assaporamento della ragione del gusto. La ragione ha il torto, il vizio e la disubbidienza, ma anche la rivolta. L’uomo che vive costantemente in rivolta deve avere il coraggio di risolvere il senso tragico del sapienza che porta all’infinito attraverso una domanda di senso: cosa è il finito?
Maria Zambrano ci accompagna lungo questa via. E Camus fa ol resto.
Di morte si muore e di leggerezza, insistendo, si diventa imbecilli. Io voglio morire di morte e non vivere da imbecille, pensando che anche la morte, con il dramma tra finito e infinito oltre la cristiana Resurrezione, si possa affrontare con la leggerezza e forse con ciò che è stato definito pensiero debole. Non esiste un pensiero pesante e un pensiero debole. Con la chiarezza della Luce va detto ciò. Esiste il Pensiero.

La leggerezza non ha pensiero. Ha vacuità che pensa di strutturare un linguaggio espressivamente “facile”. Il vacuo è un pensiero? I filosofi deboli non sono filosofi. Sono cartolai e raccoglitori di parole. Ma di facile non c’è nulla. Nella vita. C’è la vita e la vita è fatta del tempo che racchiude i naufragi, il mare piatto, gli orizzonti frantumati, la felicità desiderata e la serenità cercata tra la vecchiezza e la maturità. Neppure la giovinezza è leggerezza.
La giovinezza conosce il mestiere di vivere. Di tradizione si vive. Perché è la tradizione che diventa trasmissione. Cosa posso trasmettere ai miei figli? Due riferimenti: il senso e l’orizzonte. Ma possono essere leggeri? O sono o non sono! Ecco perché di morte si muore e di tradizione si vive. Perché quando vengono meno i parametri di un’esistenza che è Pensiero tutto diventa debole e la debolezza è mancanza di vitamine. La debolezza è una forma di anemia perniciosa.

Quando si è deboli si rischia di non reggersi in piedi. Quando si è leggeri non bisogna attendere la tramontana per essere spazzati. Ma poi, signori miei, è proprio la leggerezza che rende incoerenti perché si è fragili alle tempeste, alle sconfitte, ai naufragi. Se il naufragar mi resta dolce è perché ho superato le foglie vive e caduche spazzate dal vento.
Non si muore se si trasmettono eredità, ma per trasmetterle si ha bisogno di forza e di coraggio. Di Pensiero. Il Pensiero non ha mai il consenso. Il non pensiero sì. Perché è il nulla. Il nulla trionferà! Perché il nulla si ciba di leggerezza della parola.

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