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Nei precedenti episodi del nostro podcast dedicati alle storie del passato di Grottaglie, raccolti nel volume curato da Pietro Pierri ed edito con il patrocinio della pluriassociazione San Francesco de Geronimo, pur nella differenza di trama e ambientazione, ricorrono alcuni temi comuni.

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Si tratta di storie di lutto e violenza, in cui spesso un ricco e malvagio possidente utilizza il suo potere politico ed economico per vessare popolani e contadini, con tragiche conseguenze.

Che si tratti della storia di Marina, rapita e violentata da una masnada di giovani rampolli poi trucidati da alcuni popolani decisi a vendicare la sventurata giovane, oppure della triste vicenda di Salvatore, ceramista che vede i figli morire di fame ed è poi costretto all’esilio per aver rubato del grano dai magazzini del clero locale, i racconti marcano le tinte fosche di questi episodi, sia per ricordare questi episodi tramandandoli nella memoria delle generazioni future sia come ammonimento per affermare che malazioni e torti perpetrati trovano prima o poi adeguata punizione.

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Castigat ridendo mores

Ma se è vero che molti racconti della tradizione popolare sono basati su vicende tragiche e violente, è altrettanto vero che molti altri hanno un carattere ironico e satirico, in cui vengono dileggiati costumi sociali e modi di fare, spesso amplificati a scopo parodistico.

Da secoli, in questi racconti, ricorrono personaggi che sono veri e propri tipi psicologici: l’avaro, il libertino, l’ingenuo popolano, la cameriera scaltra, il ricco arrogante e così via. Da Molière a Goldoni, passando per Sheakespare e andando indietro sino a Plauto, gli esempi sono praticamente infiniti.

E proprio a Plauto, forse, si rifà l’anonimo autore della storia che raccontiamo in questo episodio, che più che in un vero e proprio racconto è racchiusa in una poesia, breve e salace che vede protagonista Veru, bovaro pigro ed infingardo che per sfuggire ad un destino di fame e lavoro si arruola nelle file dei cavalieri templari.

Un cavaliere poco devoto

Ma la natura no cambia o – come affermato nella chiusura della poesia – “ci sinti ripuddoni, ti quist’avru sé natu” e così anche da soldato Veru continua a sfuggire dalle fatiche del servizio e dai rischi della battaglia, mangiando mentre finge di pregare e nascondendosi nelle retrovie al momento della battaglia.

In questa poesia viene stigmatizzato il pessimo comportamento del bovaro che – anche se ha imparato a scrivere ed è rivestito di armi e scudo – rimane nelle sue pessime abitudini, del tutto contrarie allo spirito dei Cavalieri del Tempio, che offrirono la vita in Terrasanta per la difesa del Santo Sepolcro, scrivendo così una storia che ha forse lasciato qualche traccia anche a Grottaglie.

Templari a Grottaglie?

Sebbene non esistano prove certe infatti, è assai probabile che anche Grottaglie abbia ospitato una casa templare o perlomeno una qualche loro attività. La presenza di una croce patente sulla volta di ingresso in un giardino del centro storico e gli affreschi scoperti nella affascinante grotta emersa dalla gravina di San Giorgio portano a ipotizzarlo.

Negli anni che vanno dalla fondazione dell’ordine da parte di Ugo da Payns alla sua soppressione da parte di papa Clemente V°, la Puglia fu un territorio in cui i Cavalieri del Tempio furono molto attivi – tanto in pace quanto in guerra – soprattutto per via della sua naturale predisposizione ai contatti con l’Oriente.

E così questa poesia ci ricorda che anche un Ordine cavalleresco ispirato come quello templare è fatto comunque da uomini e che dietro ogni corazza e scudo può nascondersi tanto un disinteressato eroe che un infingardo egoista, più attento alla salvezza del suo ventre che alla difesa dei pellegrini.

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