Grottaglie Giacomo D'Atri
Pubblicità in concessione a Google

Edificata nel 1379 sotto la direzione del maestro Domenico di Martina, la chiesa matrice di Grottaglie, conosciuta anche come Collegiata dedicata a Maria SS. Annunziata è uno dei pochi monumenti di cui conosciamo con certezza anno di realizzazione e architetto costruttore, grazie ad iscrizione in caratteri gotici presente sulla facciata.

Pubblicità in concessione a Google

Edificata a cura dell’arcivescovo Giacomo d’Arti, a cui si deve anche la realizzazione del castello e della cinta muraria cittadina, la chiesa prese quasi certamente il posto di una struttura preesistente, rivelatasi col tempo troppo angusta a causa dell’aumento della popolazione e da allora, posta tra l’oratorio della Confraternita del Purgatorio ed il palazzo baronale, testimonia la fede dei grottagliesi.

Ascolta il Podcast

L’origine della Collegiata

E’ da questa “basilichetta” che probabilmente provengono tre piccole edicole in pietra, ancora presenti sulla facciata e riproducenti Cristo in trono, l’arcangelo Gabriele e la Vergine Annunziata, disposte la prima sulla sommità dell’ampio rosone e le altre due nella parte inferiore, poco sopra l’arco.

Le dimensioni troppo piccole rispetto alla facciata ed una fattura più approssimata rispetto allo stile complessivo della chiesa suggeriscono una datazione al X° secolo, o comunque anteriore a quella della stessa chiesa. Queste sculture, seppure segnate dalle ingiurie del tempo e degli agenti atmosferici, si mostrano ancora nel loro fascino e richiamano la Madonna con Bambino un tempo custodita nel santuario di Santa Maria Mutata ed oggi alloggiata in una cappella laterale della stessa chiesa madre.

La facciata della chiesa, sobria ed imponente allo stesso tempo, è chiara espressione del romanico pugliese e presenta un ampio rosone e di un portale in pietra calcarea realizzato con due colonne ottagonali poggiate sul dorso di due animali – probabilmente un ippopotamo a destra e un bue o un elefante a sinistra, difficilmente identificabile perché decapitato – anche loro segnati dal passare degli anni, al loro volta poggianti su due medaglioni sporgenti dal muro. Sui capitelli due leoni, che sostengono un frontespizio a tre fasce riccamente ornato di motivi geometrici, fiori, frutti e foglie d’acanto.

A differenza di altre chiese grottagliesi, è oramai scomparso l’affresco un tempo presente sul rimpano che rappresentava la Vergine Annunziata, mentre l’ampio rosone – ha visto sostituiti nel 1880 i preesistenti archetti e colonnine in pietra con una raggiera in legno ed una vetrata, recentemente restaurata.

Un viaggio nella storia

Se la facciata si presenta oggi come si presentava alla fine del 1300 quando venne realizzata, lo stesso non può dirsi dell’interno della chiesa, che nel corso degli anni ha subito numerosi e non sempre felici restauri, aggiunte, modifiche e rimaneggiamenti. Come se fosse una vera e propria macchina del tempo, nella Collegiata troviamo stili e fatture affatto diverse tra loro: dal gotico nell’arco del presbiterio al barocco delle cappelle, passando per l’impronta rinascimentale in coro e sculture ed il neoclassico della navata.

L’ampia navata centrale è affiancata da otto cappelle, quattro a sinistra e quattro a destra ed a metà troviamo da un lato una uscita secondaria e dall’altro una cappellina che ospita il fonte battesimale e due imponenti tele del pittore grottagliese Ciro Fanigliulo, raffiguranti l’una la cacciata dei mercanti dal tempio e l’altra il battesimo di Gesù nel fiume Giordano.

Le cappelle laterali

La prima cappella sulla sinistra dell’entrata custodisce un bell’altorilievo che rappresenta il momento della Annunciazione. Un opera di pregevole fattura, un tempo colorata come sembrano suggerire i resti di alcuni pigmenti presenti sulla veste della Vergine.

Attualmente esposta alla vista dei fedeli appena entrati in chiesa, questo altorilievo testimonia delle traversie subite nei secoli dalla chiesa madre. L’opera faceva infatti parte dell’altare della Annunciazione fatto costruire dalla famiglia Scardino nella prima metà del XVI° secolo e ubicato nel portico della chiesa. Da qui venne spostato nel 1590 nella cappella della Annunciazione per passare nella cappella dei Santi Pietro e Paolo per finire dove oggi lo possiamo ammirare.

La seconda cappella è dedicata allo Spirito Santo, come chiaramente mostra il dipinto raffigurante la Pentecoste, risalente probabilmente alla fine del XVI° secolo. Anche qui troviamo una traccia dei tanti cambiamenti vissuti da questo luogo di culto, questa volta testimoniati dallo stemma della famiglia Angiulli a cui si deve l’edificazione della cappella, che però era situata altrove.

Proseguendo troviamo la cappellina che abbiamo citato prima, che ospita il fonte battesimale; realizzata in un sobrio ed elegante stile ionico nel XIX° secolo, è abbellita da un pavimento di mattonelle in ceramica policroma.

L’altare successivo ospita una pala risalente forse ai primi anni del XVII° secolo che raffigura i Santi Pietro e Paolo, l’uno con in mano le chiavi del Regno divino e l’altro con la spada che simboleggia la forza della Parola di Dio.

La quarta cappella, adiacente all’ingresso alla sacrestia, è dedicata al Santissimo Sacramento e travolge e affascina per la ricchezza dei colori e l’opulenza delle forme. Edificata e più volte modificata a cura della omonima confraternita, vede sulle pareti laterali due quadri dei primi anni del Novecento, realizzati da Cosimo Sampietro e raffiguranti l’ultima cena e la disputa nel tempio.

Un altro dipinto, questo risalente al Settecento, riporta i classici temi legati alla Eucarestia e domina l’altare inserito in un tempietto realizzato con marmi policromi intarsiati. Il tabernacolo abbellisce ulteriormente la cappella, decorato com’è dal simbolo dello Spirito Santo e da teste di angeli. Alle estremità laterali dell’altare, ancora angeli che sorreggono cornucopie che contengono frutti, a testimoniare forse della importanza della agricoltura nella economia di Grottaglie, mentre ai lati inferiori si possono notare gli emblemi della confraternita.

Il coro, l’organo e l’altare

Come quasi sempre accade in questi edifici, la parte presbiteriale è il punto focale della struttura, ospitando l’altare, il coro, l’organo ed un grande dipinto.

Anche qui troviamo una evidente testimonianza di come e quanto il passare del tempo abbia modificato la struttura originale sino a farla diventare come oggi la vediamo; l’antico altare maggiore risalente al Settecento ha infatti lasciato il posto nel 1967 a quello attuale, realizzato con una antica lastra in pietra dissotterrata proprio dalla zona presbiteriale posta su un supporto ricavato dal vecchio altare che mostra – nella parte anteriore – un rivestimento settecentesco realizzato con marmi policromi che circondano un medaglione a bassorilievo che mostra il momento della Annunciazione alla Vergine Maria.

Non stupisce il ritrovare raffigurato anche sull’altare questo momento centrale della storia cristiana, ma è senz’altro interessante notare come – all’interno di questo edificio il cui titolo richiama appunto l’evento che vede protagonisti l’Arcangelo Gabriele e la madre del Cristo – la Annunciazione venga mostrata con stili affatto diversi. Se l’altorilievo in pietra posto all’ingresso mostra una atmosfera di serafica solennità, la grande tela – risalente al 1674 e recentemente restaurata – che campeggia sull’altare è dominata da toni oscuri e cupi, senz’altro dovuti anche alla origine dell’opera, chiesta come penitenza ad alcuni committenti per ottenere il perdono da una scomunica a loro comminata per aver tentato di impossessarsi di terreni ubicati nella foresta alla periferia di Grottaglie di proprietà della Mensa arcivescovile.

Non meno interessante è il coro dei primi anni del Cinquecento, realizzato con cinquantadue sedute disposte su due ordini e realizzate in noce intagliato e finemente intarsiato, così come l’organo a canne, il più antico di Puglia, che ancora oggi è il protagonista di concerti e festival musicali.

Ma prima di proseguire nella nostra passeggiata, abbassiamo lo sguardo e ammiriamo lo stemma incastonato nel pavimento, che riproduce quello di Monsignor Guglielmo Motolese, che fu Arcivescovo metropolita di Taranto dal 1962 al 1987, quando rassegnò le sue dimissioni per raggiunti limiti di età.

Sullo stemma spicca il motto “Respice Stellam”, che fa riferimento alla Beata Vergine Maria di cui l’Arcivescovo era molto devoto. La citazione è infatti tratta da una preghiera di San Bernardo di Chiaravalle, che in alcuni passaggi recita:
“..Si insurgant venti tentationum,
si incurras scopulos tribulationum,
respice stellam, voca Mariam.

Si iactaris superbiae undis
si ambitionis, si detractionis, si aemulationis
respice stellam, voca Mariam.

Si iracundia, aut avaritia
aut carnis illecebra naviculam concusserint mentis,
respice stellam, voca Mariam.”

che possono essere tradotti come:
Se giungono i venti delle tentazioni
e se ti infrangi sugli scogli delle tribolazioni,
guarda la stella, invoca Maria.

Se sarai sbattuto dalle onde della superbia,
E dell’ambizione, della detrazione, della rivalità aspra
Guarda la stella, invoca Maria.

Se l’iracondia, o l’avarizia,
o il desiderio disordinato avranno sconquassato la navicella della tua mente,
Guarda la stella, invoca Maria.

spiegando quindi la presenza della stella dorata presente nello stemma stesso, che con i suoi otto raggi richiama anche la rosa dei venti, usata da secoli per orientare la rotta in mare.

Le cappelle di destra

Proseguendo la nostra visita incontriamo la cappella dedicata all’Ascensione, fondata nei primi del XVII° secolo da Vito Natale, che nonostante sia spesso in penombra merita uno sguardo attento e rispettoso. Dopo aver attraversato la balaustra ottocentesca ci ritroviamo infatti in un ampio ambiente che ospita un altro altorilievo in pietra che rappresenta la Ascensione al cielo di Gesù, inserito con un interessante gioco prospettico all’interno di un falso tempio. Il monumento alla Carità realizzato qualche decennio fa copre invece la lapide e la tomba di Monsignor Giuseppe Rotondo, che fu arcivescovo di Taranto e morì nel castello episcopio nel 1885. A completare l’ambiente barocco sono gli altari laterali, ricchi di decorazioni e fregi.

Proseguendo incontriamo la cappella realizzata su ordine di Monsignor Tommaso Caracciolo a metà del ‘600, in passato dedicata ai Santi Marino e Cataldo ed oggi al SS. Crocifisso. L’ambiente si offre agli occhi del visitatore con un aspetto sin troppo austero, soprattutto a causa delle modifiche apportate negli anni passati, con buona pace dei decori realizzati nell’immediato dopoguerra grazie all’interessamento di Don Vito Traversa, ma spiccano sulle pareti laterali due imponenti tele seicentesche raffiguranti il sogno profetico di San Cataldo e il martirio di San Marino, a cui – come detto – era dedicata in origine la cappella stessa.

Andando verso l’uscita troviamo invece la prima, evidente, testimonianza della fede verso i patroni di Grottaglie, espressa nella cappella circolare dedicata alla Madonna di Mutata, all’interno della quale la presenza dello stemma gentilizio di Monsignor Giuseppe Rotondo, che fu arcivescovo di Taranto dal 17 dicembre 1855 al 20 gennaio 1885, testimonia il periodo di rifacimento della cappella stessa.

A dominare l’ambiente una cupola decorata sostenuta da quattro colonne, mentre l’altare è dominato dalla venerata immagine di Maria, a cui è dedicato il santuario che un tempo fu oggetto della disputa tra Grottaglie e Martina Franca e dove, ancora oggi, si svolge il tradizionale pellegrinaggio della “Pasca t’li Palomme” nella domenica in Albis, dopo Pasqua. Le pareti della cappella sono dipinte con un falso arabesco di color carminio, mentre il pavimento è abbellito da mattonelle in maiolica policroma risalenti alla seconda metà del secolo XIX°.

Arriviamo così a quella che forse è la cappella più conosciuta e ammirata, sia per la bellezza delle decorazioni sia perché – più banalmente – è quella su cui va lo sguardo del fedele appena entra in chiesa; è il cosiddetto “cappellone di San Ciro” al cui interno, oltre alla venerata immagine del Santo egiziano, troviamo anche la statua di San Francesco de Geronimo, compatrono cittadino.

Sull’altare centrale spicca l’immagine della Madonna del Rosario effigiata in un quadro attribuito al pittore barocco Paolo De Matteis, titolare della Congrega che tanto si è adoperata per la edificazione della cappella stessa. A testimoniare la devozione dei fedeli verso la Vergine, una trentina di medaglioni ovali in tela che ritraggono i misteri del Rosario e alcuni santi dell’ordine domenicano. L’ambiente è ricco e fastoso, ed ancora oggi colonne tortili, putti e angeli, foglie e frutti, uccelli e altre decorazioni affascinano lo spettatore, nonostante in passato alcuni restauri poco attenti abbiano lasciato il segno.

 

Pubblicità in concessione a Google